Blue whale, come contrastarla? Ecco il decalogo della polizia postale: «Facciamo rete e condividiamo»

Blue whale, come contrastarla? Ecco il decalogo della polizia postale: «Facciamo rete e condividiamo»
di Massimo Chiaravalli
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Giovedì 25 Maggio 2017, 17:10 - Ultimo aggiornamento: 5 Giugno, 18:53

Blue whale, contro il gioco che induce all’autolesionismo e al suicidio arriva il decalogo della polizia postale. Cinque consigli per i genitori, altrettanti per i ragazzi e un’informazione a 360 gradi per metterci sopra il prima possibile la parola fine. Il primo imperativo però vale per tutti: «Facciamo rete e condividiamo».

La lotta al challenge passa attraverso gli stessi canali da dove viene diffuso: i social network. E così la polizia postale lancia l’appello attraverso i profili Facebook Commissariato di Ps online Italia e Una vita da social. Prima la spiegazione del fenomeno: «Il Servizio Polizia Postale e delle Comunicazioni – scrivono - sta coordinando gli interventi attivati a seguito delle numerose segnalazioni pervenute ed in trattazione degli Uffici territoriali della Polizia Postale, al fine di individuare la presenza di eventuali soggetti che si dedicano ad indurre minorenni ad atti di autolesionismo ed al suicidio attraverso l’uso di canali social e app, ovvero di intercettare fenomeni di emulazione nei quali pericolosamente possono incorrere i più giovani in rete in preda alle mode del momento o guidati da un’improvvida fragilità, magari condivisa con un gruppo di coetanei». Si tratta ovviamente della pratica proveniente dalla Russia, proposta come sfida, «in cui un così detto “curatore” manipola la volontà e suggestiona i ragazzi sino ad indurli, attraverso una serie di 50 azioni, al suicidio».

Ed ecco come si combatte. Prima cinque consigli per i genitori. Il curatore punta sulla suggestione, che «può essere operata dalla volontà di un adulto che aggancia via web e induce la vittima alla progressione nelle 50 tappe della pratica oppure da gruppi whatsapp o sui social, nei quali i ragazzi si confrontano sulle varie tappe, si fomentano reciprocamente, si incitano a progredire nelle azioni pericolose previste dalla pratica, mantenendo gli adulti significativi ostinatamente all’oscuro», Quindi, tenere gli occhi aperti: bisogna parlare con i propri figli «di quello che i media dicono e cercate di far esprimere loro un’opinione su questo fenomeno». Massima attenzione «a cambiamenti repentini di rendimento scolastico, socializzazione, ritmo sonno veglia: alcuni passi prevedono di autoinfliggersi ferite, di svegliarsi alle 4,20 del mattino per vedere video horror, ascoltare musica triste». Se solo dovesse nascere il sospetto di un coinvolgimento del ragazzo con il fenomeno, mai minimizzare, perché «quello che agli adulti sembra “roba da ragazzi” per i ragazzi può essere determinante». Se invece ad essere coinvolto è un amico del proprio figlio, bisogna subito avvertire i genitori, la scuola o alla polizia postale, anche sui suoi profili social.

E ragazzi come possono difendersi? Primo punto: segnalare chi induce a farsi del male su www.commissariatodips.it, www.facebook.com/unavitadasocial/ o www.facebook.com/commissariatodips/. Se capita di iniziare il challenge blue whale, si è sempre in tempo a tornare indietro: «Parlane con qualcuno, chiedi aiuto – è il consiglio - chi ti chiede ulteriori prove cerca solo di dimostrare che ha potere su di te». Se è coinvolto un amico, bisogna mettere al corrente un adulto. Nel momento in cui poi si viene contattati da un “curatore” ecco cosa fare: «Potrebbe averlo proposto ad altri bambini e ragazzi: parlane con qualcuno di cui ti fidi e segnala subito chi cerca di manipolare e indurre dolore e sofferenza ai più piccoli». Segnalare sempre, insomma. Anche se si viene aggiunti a gruppi whatsapp, Facebook, Istagram, Twitter o altro in cui si parla di blue whale. E per chi avesse ancora dubbi se si tratti o meno di una bufala, come qualcuno ha chiesto commentando il post, la risposta della polizia postale è stata secca: «Non è una bufala, stiamo verificando tutte le segnalazioni che ci sono arrivate».

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