Pizzaballa (patriarca latino a Gerusalemme): «Per la pace serve tempo ma grazie a San Nicola Bari è sede per il dialogo». L'intervista

Pizzaballa (patriarca latino a Gerusalemme): «Per la pace serve tempo ma grazie a San Nicola Bari è sede per il dialogo». L'intervista
di Nicola MANGIALARDI
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Venerdì 10 Maggio 2024, 05:00

È arrivato a Bari per pregare per la pace chiedendo l’intercessione di San Nicola, ma «ci vorrà del tempo». Il patriarca latino di Gerusalemme, il cardinale Pierbattista Pizzaballa, ieri ha partecipato alle celebrazioni legate alla festa di San Nicola.

Cardinale, ha scelto di venire a Bari in occasione dei festeggiamenti di San Nicola, un santo venerato in tutto il mondo, che significato assume oggi questa sua visita alla luce di quanto sta accadendo nel mondo?

«San Nicola è un santo molto amato in tutte le chiese d’Oriente e d’Occidente ma soprattutto in Oriente. E Bari è una città aperta all’Oriente mentre san Nicola è la figura di unità, soprattutto in questo momento di grande divisione che colpisce tutto l’oriente cristiano compresa la Terra Santa. In questi momenti è difficile parlare di speranza ma per noi credenti la speranza è fondata sulla fede, quindi dobbiamo sicuramente lavorare per questo e in questo momento difficile dove sembra che tutto parli di odio e divisioni i segni sono importanti, come i segni di unità e di incontro possono costituire una piccola luce in questo contesto molto difficile e complesso. E proprio da Bari deve partire un messaggio forte al mondo che deve sapere, con senso di realismo, che questo non è il momento di costruire ed erigere barriere, certo mi rendo conto che questo non è affatto facile, ma occorre non confondere la pace con la vittoria. In Medioriente parlare di pace in questo momento non ha senso, sarebbe fuori dalla realtà. Oggi occorre parlare di cessate il fuoco, di cessazione delle ostilità. Per arrivare alla pace ci vorrà molto tempo, bisognerà curare le ferite, c’è molto lavoro da fare. Ma la prima cosa da fare, oggi, affinché la parola pace sia credibile occorre cessare le ostilità. A Gaza, abbiamo una piccola comunità cattolico cristiana, quella della Sacra Famiglia, che si compone di circa 500 persone e 200 quelle ortodosse che, come si sa, sono legate tra di loro. La situazione resta molto fragile. Siamo riusciti a far arrivare un po’ di viveri ma mancano medicinali e acqua e a causa della gravissima situazione igienica si sta diffondendo l’epatite».

A Bari, in questi giorni, si festeggia San Nicola, un Santo che unisce i cattolici e gli ortodossi anche se Russia e Ucraina sono in guerra, qual è il messaggio che può partire da qui verso quei territori?

«La situazione nel mondo ortodosso, ahimè, è un dato evidente, è molto fragile e divisa. È una situazione molto dolorosa di divisione. San Nicola rappresenta un’oasi in questo senso perché è molto amato da tutte le chiese orientali, per questa ragione San Nicola e Bari possono rappresentare un luogo neutro dove le chiese tutte possono sentirsi a casa».

È ipotizzabile, come accaduto in Ucraina, un intervento diretto e ufficiale della Chiesa in Medioriente?

«Sono due situazioni completamente diverse.

Il compito della Chiesa non è quello di mediare. Il compito della Chiesa, oggi, è quello di creare gli spazi per la mediazione».

Quindi, in concreto qual è il ruolo che può e deve svolgere la Chiesa e la Custodia in particolare?

«La Custodia è la Chiesa e il suo compito è quello di aiutare, facilitare, creare occasioni, affinché il negoziato possa essere facilitato avendo una presenza capillare sul territorio. La Chiesa è presente in questo panorama ma non spetta alla Chiesa mediare perché è una situazione troppo complessa che coinvolge dinamiche che esulano dal compiti della Chiesa».

Quindi occorre puntare tutto sul dialogo?

«Certamente, in questo momento oriente e occidente hanno bisogno di essere unit»

La mediazione sulla quale si sta lavorando in Egitto sembra sfumare, si riuscirà ad arrivare al cessate il fuoco?

«In Medioriente non vale mai la logica dell’out-out ma sempre dell’at-at, nulla è mai come appare e quindi bisogna sempre essere molto cauti nelle conclusioni immediate. Certamente il negoziato è, comunque, in salita»

Il suo Medioriente, la terra nella quale lei vive e opera da tantissimi anni in questo momento gronda di sangue, nonostante i ripetuti appelli di pace rivolti dal Papa, qual è la situazione?

«È davvero drammatica, si registra una violenza mai vista con questo tipo di intensità negli ultimi decenni e con conseguenze di lungo termine nelle relazioni tra israeliani e palestinesi come sentimento di odio»

Anche ad est del mondo la situazione non è molto differente con il contesto russo-ucraino insanguinato dalla guerra?

«Si, certo, come Papa Francesco più volte ha detto, stiamo vivendo un periodo da terza guerra mondiale a pezzi e questi pezzi si fanno sempre più grandi e sempre più uniti e collegati. Noi abbiamo bisogno che la comunità internazionale operi per la cessazione di questi conflitti».

Come mai il pontefice decide di partecipare al G7?

«Credo che oggi sia chiaro più che mai che l’economia, la politica, il mondo dei media da soli non aiutano a fare unità e ad avere una visione completa sulla vita dell’uomo, credo sia essenziale il bisogno, anche, di uno sguardo spirituale. Il G7 è un contesto importante dove i Paesi più importanti del pianeta dialogano tra di loro su vari temi. Personalmente credo che sia importante che i politici, gli economisti e i vari responsabili dei vari ambiti della vita pubblica ascoltino anche una visione e un discorso spirituale. Perché una cosa è chiara, oggi, ed è che una gran parte di questi conflitti hanno anche una connotazione religiosa. Non bisogna dimenticare, poi, che Papa Francesco è un leader spirituale carismatico e la sua voce è una voce importante».

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