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I ballottaggi in Puglia/I partiti e il grande caos: addio agli schemi e spazio agli esperimenti

I ballottaggi in Puglia/I partiti e il grande caos: addio agli schemi e spazio agli esperimenti
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Martedì 21 Giugno 2016, 12:15 - Ultimo aggiornamento: 13:38
Da laboratorio politico, luogo di avanguardie e sperimentazioni durevoli e consapevoli, a modello in scala dei terremoti nazionali. La Puglia elettorale si risveglia così, carica di interrogativi, dopo i ballottaggi che da Roma a Torino hanno schiaffeggiato il Pd e rinvigorito il Movimento Cinque Stelle, e che su base regionale hanno invece accentuato quei caratteri di frammentazione, civismo, trasversalità e specificità territoriali che avevano già connotato il primo turno. Il voto pugliese (16 Comuni) è così in buona parte (ma non completamente) una riedizione delle mareggiate nazionali. Il Pd non frana del tutto, ma di certo non sfonda, peraltro consegnando alla concorrenza Brindisi, dove s’impone l’alleanza tra un pezzo di centro, i fittiani e i fuoriusciti pd fedeli all’ex sindaco Consales, ed è una brusca frenata per Michele Emiliano, che aveva personalmente incoronato lo sconfitto Nando Marino. Senza primarie. Il centro oscilla tra esperimenti civici, accordi con i democratici o intese a destra. La “sinistra-sinistra” appare e scompare, e i tempi del vendolismo sembrano un passato remoto. Il M5s indovina lo sprint per la prima volta in Puglia e incassa due sindaci, è un antipasto indiziario, ma ancora non s’affaccia sui grandi palcoscenici (Brindisi, la “Roma di Puglia”, è una chance gettata al vento). Il centrodestra è ridotto in polvere, nemmeno più in macerie, la coalizione è solo uno schema per nostalgici e i singoli partiti viaggiano in ordine sparso, presidiando solo isolate realtà.

Salta tutto. E persino la rivendicazione delle vittorie è un esercizio arduo. Il Pd piazza l’allungo in quattro comuni (Fasano, Gallipoli, Palo del Colle e Ruvo) su 10 ballottaggi, ma sente sue anche Laterza e Massafra, dove a vincere sono candidati fuoriusciti dal centrosinistra democrat e sui cui però il Pd s’è ricompattato frettolosamente a pochi giorni dal ballottaggio; Noicattaro e Ginosa vanno al M5s, mentre il centrodestra “puro” conquista solo San Giovanni Rotondo. Nel mezzo è bagarre di etichette, civismo, laboratori arditi: il già citato rassemblement di Brindisi, ma anche Nardò (civiche con innesti di Forza Italia e di sinistra), Grottaglie (sinistra e ambientalismo), e San Giorgio, Adelfia, Gioia del Colle (civiche ora di destra, ora di sinistra, ora ad assetto misto). Sperimentazioni che solo il tempo dirà se avranno la capacità di radicarsi e ramificarsi, o no. Ma la sensazione di fondo è una: accordi e disaccordi sono stati del tutto casuali, frutto di faide, veti parcellizzati e localizzati o di intese spericolate, senza puntuali e tracciabili regìe centrali o regionali. Il che accresce la sciagura perché spalanca le porte a ulteriori incertezze.

Una delle tracce caratterizzanti ai ballottaggi pugliesi è così l’alto tasso di litigiosità, che incrementa la fluidità dei confini e la tendenza al “liberi tutti”. Il Pd, innanzitutto, presta troppo facilmente il fianco a conflittualità e diaspore, con l’effetto di produrre emorragie di dirigenti locali e raddoppi di candidature. Il che chiama in causa la segreteria regionale a guida Emiliano, che evidentemente non è riuscita nei mesi pre-elettorali ad arginare le fuoriuscite o a sancire tregue durevoli. Il caso-cardine è la provincia di Taranto: Pd sfilacciato, sbattuto fuori, già al primo turno, da tutti e cinque i ballottaggi, e in un paio (Laterza e Massafra) ha dovuto recuperare terreno e rapporti al ballottaggio. Spiazza peraltro - e anche qui qualcosa dovrebbe spiegarlo Emiliano - la rinuncia preventiva e generalizzata alle primarie, metodo che era ormai ritenuto consolidato e strutturale in Puglia, quasi una liturgia laica: sarebbero forse state utili a Brindisi per rianimare la piazza; e altrove (nel Tarantino, ad esempio) avrebbero tenuto a freno le liti e ricompattato i ranghi, evitando divorzi esiziali o scelte difensiviste. E la “lezione al contrario” di Gallipoli qualcosa vorrà dire: ha vinto Stefano Minerva, scommessa di Emiliano, ma soprattutto giovane dirigente con una storia ben inscritta nel perimetro Pd. Né è chiaro l’assetto di alleanze dem: grandi abbracci al centro (o persino a Ncd, sempre a Brindisi), rafforzato l’asse con La Puglia in più (il movimento di Dario Stefàno), e invece allentato il legame con la sinistra vendoliana. Ma, anche qui, l'omogeneità è criterio affatto scontato. E intanto c’è l’urgenza, ora, di recuperare i tanti gruppi e gruppetti locali fuoriusciti dal partito, e di farlo in fretta.

Ma i fuoriclasse del conflitto auto-distruttivo sono nel centrodestra. Il dazio delle spaccature di un anno fa, tempo di regionali, è ancora salatissimo. E c’è di più: anche lì dove la coalizione ha recuperato unità e pace, non è riuscita a far bene. Addirittura fuori dopo il primo turno in molti casi (Fasano su tutti), al ballottaggio ha fallito a Grottaglie, Ginosa, Massafra, Gioia, Ruvo. La domanda allora è: ha senso continuare a inseguire la vecchia foto di famiglia? E a quali condizioni? Fanno bene i CoR a sperimentare, per sopravvivere, alleanze inedite come a Brindisi (dove Fitto ha ottenuto le tanto agognate primarie)? E Forza Italia come intende rifondarsi?

In mezzo a un mobilità così radicale dei due blocchi classici, è chiaro perché in Puglia ci siano state ben 7 rimonte su 16 ballottaggi, e siano sbocciati il civismo (tra protagonismi locali, liti intestine e laboratori magari poco ortodossi), l’ansia di nuovismo (tanti i sindaci under40; moltissimi i volti al debutto totale) e lo spazio per la cavalcata del M5s. Nei due Comuni conquistati, i pentastellati non solo vincono in sorpasso, ma al ballottaggio raggiungono quota 70%: hanno di fatto aggregato un elettorato parecchio variegato per estrazione, e molto fluttante. Un dato ormai diffuso, e con il quale tutte le forze politiche dovranno giocoforza fare i conti.
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