È allarme per il lavoro nero: braccianti e colf i più colpiti. E aumentano le vertenze

È allarme per il lavoro nero: braccianti e colf i più colpiti. E aumentano le vertenze
di Roberta GRASSI
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Giovedì 15 Febbraio 2018, 05:30 - Ultimo aggiornamento: 12:43
Cresce (leggermente) il numero delle vertenze, a testimoniare come anche a Brindisi il trend sia identico al resto d’Italia. Il lavoro nero c’è, le rivendicazioni dei lavoratori dinanzi al giudice del lavoro pure. Nonostante i riflettori restino sempre puntati sul settore dello sfruttamento dei dipendenti, del rispetto dei contratti nazionali e delle disposizioni per i datori di lavoro. È notizia recentissima l’esito di una verifica a campione del Nucleo ispettorato del lavoro dell’Arma di Brindisi i cui militari hanno individuato dieci aziende, su undici, in condizione di irregolarità. Su 15 lavoratori, per un terzo si sono presentate differenze contrattuali rispetto al trattamento effettivo, il resto è risultato essere impiegato completamente in nero. Fantasmi, insomma, non certo per scelta. 
Agli imprenditori sono state contestate violazioni amministrative per un importo totale di 36.500 euro. Il risultato di una delle verifiche a campione dei carabinieri dà contezza dell’esistenza di una problematica irrisolta. Anche i dati sul contenzioso in materia di lavoro forniscono conferma. A Brindisi (si tratta di un dato chiaramente provinciale) il carico è in lieve aumento rispetto all’anno precedente. I procedimenti pendenti, per l’anno 2017, sono 8.352. Nell’anno precedente se ne rilevavano circa 8.250. Di questi per l’anno appena trascorso sono 973 di lavoro, 635 di pubblica amministrazione e ben 6.744 previdenziali. 
Le nuove cause avviate nel 2017 sono circa 5mila. Altrettante, fascicolo più, fascicolo meno, ne sono state chiuse nello stesso anno. Non c’è una correlazione stretta tra il ricorso al lavoro nero e l’esistenza di contenzioso (per altro composto da cause di varia tipologia). Ma certo è che il numero di vertenze, di cause in trattamento, fa da termometro della situazione. Fermo restando che vi è un quantitativo di sommerso che tale è destinato a rimanere: non è automatico che i “senza contratto” facciano ricorso al Tribunale.
I controlli che vengono continuamente compiuti dagli ispettori del lavoro e dai carabinieri del Nil, il nucleo che dipende dall’ispettorato territoriale del lavoro di Brindisi, fanno emergere dati eclatanti. Le irregolarità si concentrano soprattutto nel settore dell’edilizia, dell’agricoltura e in ambito domestico. 
 
Nei primi due casi le sanzioni possono essere anche molto elevate per i datori di lavoro. Nell’ultimo caso si rischia meno il salasso. 
Anche il trend nazionale è dello stesso tipo. Secondo una ricerca del Censis sono 3.300.000 i lavoratori in nero. 
Il sommerso è consistente nel settore del lavoro domestico da parte delle famiglie (colf e badanti), con un tasso di irregolarità che raggiunge 60 per cento. Poi, attorno al 22-23 per cento, si collocano le attività agricole e quelle del terziario, in particolare attività artistiche e di intrattenimento, quindi il settore alloggi e ristorazione col 17,7 per cento e le costruzioni col 16,1 per cento. 
Va peggio in Calabria e Campania, che sono le Regioni con percentuali più alte, seguite da Sicilia, Puglia (al 7,6), Sardegna e Molise. 
Secondo i dati dell’ispettorato nazionale del lavoro, invece, su 160mila aziende ispezionate, 103mila sono risultate irregolari, 252mila i lavoratori non in regola, in aumento del 36% rispetto al 2016. Ben 48mila completamente in nero. Tutto ciò nonostante l’inasprimento delle sanzioni. Per i datori di lavoro sono previste maxi sanzioni pecuniarie che raggiungono i 36mila euro. Ma anche i singoli lavoratori in nero corrono dei rischi. Qualora egli abbia dichiarato alle autorità competenti il proprio stato di disoccupazione o, addirittura, percepisca apposita indennità, può scattare la denuncia per falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico, punita con la reclusione fino a due anni. 
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