«Per le donne sesso e mazzate»: le intercettazioni choc dei caporali arrestati

«Per le donne sesso e mazzate»: le intercettazioni choc dei caporali arrestati
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Lunedì 19 Giugno 2017, 07:39 - Ultimo aggiornamento: 21:52

Quattro arresti per caporalato sono stati eseguiti dai carabinieri di Brindisi sulla base di un'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip del Tribunale di Brindisi su richiesta della procura: agli indagati viene contestato il concorso in intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro pluriaggravati.
L'indagine è stata condotta anche tramite videoriprese fatte lungo gli itinerari e presso un'azienda agricola del Barese dove venivano impiegati i braccianti. La manodopera proveniva prevalentemente dalle province di Brindisi e Taranto e sarebbe stata sfruttata con minacce ed intimidazioni, subite per via dello stato di bisogno e di necessità da parte ai lavoratori che sarebbero stati costretti a prestazioni superiori a quelle previste, a fronte di retribuzioni palesemente sproporzionate e all'obbligo di pagare giornalmente somme di denaro ai presunti caporali per l'attività di intermediazione. 







 
Lavoratrici, tutte donne, sfruttate nei campi di ciliegie a Turi: è quanto è emerso da un’inchiesta della procura di Brindisi, condotta dai Carabinieri, che ha portato all’arresto su ordinanza di custodia cautelare di quattro persone accusate a vario titolo di intermediazione illecita, il cosiddetto caporalato: si tratta di Michelangelo Veccari, della compagna Valentina Filomeno e di Grazia Ricci, Maria Rosa Putzu. Secondo quanto accertato le donne, almeno 15 quelle in stato di bisogno, venivano prelevate da Villa Castelli (Brindisi) e da altri comuni del Brindisino e del Tarantino per essere condotte nel Barese. Avrebbero lavorato per più di 8 ore al giorno, a fronte delle 6 ore e mezzo previste dal contratto, e sarebbero state scalate dalla paga anche 8 euro per il trasporto. A fronte di una paga dovuta pari a 55 euro giornaliere, avrebbero percepito 38 euro al giorno. 
L’inchiesta è partita dalla denuncia di una di loro che ha raccontato agli investigatori, che hanno poi proceduto coordinati dal pm Raffaele Casto, di essere stata picchiata per aver espresso delle richieste sulla regolarizzazione del contratto. 
Il giro sarebbe stato gestito da due coniugi di Villa Castelli a cui è stato attribuito un ruolo prevalente rispetto agli altri. Indagini sono in corso per verificare se vi siano responsabilità da parte di personale dell’azienda committente: la normativa applicata è quella introdotta nel 2011, trattandosi di fatti avvenuti nell’anno 2015. Determinanti si sono rivelate, nell'inchiesta, le intercettazioni ambientali.  
In un caso una donna sarebbe stata invitata a interrompere i rapporti con l’agenzia interinale a cui si era rivolta per trattare unicamente con i presunti caporali. 

“Con l’agenzia lavori un mese, con noi lavori sei mesi, ott mesi. Quindi dipende da cosa vuoi fare. Se vuoi lavorare un mese, altrimenti ti conviene venire con noi. Secondo me ti conviene. Perché con noi alla fine lavori, se sai comunque il lavoro no? Con loro lavori un bum, fino a fine mese, fino a fine giugno”. E’ il contenuto di una delle intercettazioni ambientali captate dai carabinieri della compagnia di Francavilla Fontana durante le indagini. Il presunto caporale avrebbe costretto una aspirante bracciante a interrompere i propri rapporti con l’agenzia interinale a cui si era rivolto.
Con minacce e intimidazioni, secondo quanto emerso, gli “intermediatori” avrebbero approfittato dello stato di bisogno delle braccianti. 

Tredici italiane e due straniere le donne che sarebbero state sfruttate dai caporali.
“Alle femmine pizza e mazzate ci vogliono, altrimenti non imparano”, si ascolta in una delle conversazioni intercettate. Dice uno dei presunti caporali: “femmine, mule e capre tutte con la stessa testa”. Il gip Maurizio Saso ha ritenuto pienamente attendibili le dichiarazioni rese dalle vittime.
Due delle persone arrestate, oltre alla coppia Veccari – Filomeno, ritenuti gli organizzatori del giro, sono una donna di Palagiano che si sarebbe occupata di procacciare la manodopera e l’altra, residente a Turi, dipendente dell’azienda ritenuta “committente”. 
 

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