«I vostri terreni sono dei prìncipi». Chiesti i canoni a chi li occupa; siglati sei accordi per il “riscatto”

«I vostri terreni sono dei prìncipi». Chiesti i canoni a chi li occupa; siglati sei accordi per il “riscatto”
di Roberta GRASSI
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Mercoledì 15 Novembre 2017, 05:30 - Ultimo aggiornamento: 11:18
Quinta generazione, una casa ereditata nel centro urbano. Arriva la lettera del principe. Sì, proprio il principe: chiede canoni arretrati per la concessione del fondo. Succede nel Brindisino, anno domini 2017. Per un istituto feudale, sopravvissuto al passare del tempo: l’enfiteusi. 
Si scopre così che quasi un intero comune, San Michele Salentino, è di proprietà dei Dentice di Frasso. E che i padroni di casa sono sì proprietari delle mura, delle stanze, di tutto quel che c’è. Ma non del terreno su cui sorge. Come se ci fosse una macchina del tempo a riportare tutto duecento anni indietro. Nel Regno delle Due Sicilie. 
Siamo in Puglia, tra la Valle d’Itria e il Salento, ormai un brand turistico di livello sulla costa e nell’entroterra. La Puglia dall’affermata vocazione ricettiva, e dal dna agricolo su cui per altro si fonda gran parte del suo patrimonio di bellezze e di bontà gastronomiche. Ed è quaggiù che nei giorni scorsi è stato raggiunto uno storico accordo tra gli eredi della casata nobiliare Dentice di Frasso (di stanza a San Vito dei Normanni) e sei persone che si erano ritrovati ad avere da tempi antichi la disponibilità di beni di cui in realtà non avevano la proprietà. 
L’accordo, possibile grazie all’intervento della Cgil, prevede che in cambio del versamento al principe di una somma “una tantum”, calcolata sulla base di parametro preciso, si possa ottenere la proprietà del bene fino ad allora utilizzato sulla base di un rapporto di enfiteusi. E “affrancarlo”. 
La necessità di risolvere un problema concreto, di cui alcuni erano a conoscenza, altri meno (essendo passati lustri ed essendosi avvicendate generazioni), ha dato il via a ricerche storiche che hanno portato a ricostruire la situazione in terra di Brindisi. I territori coinvolti sono numerosi: oltre a quelli che si trovano a San Michele Salentino, dove si scopre che quasi l’80 per cento dei fondi, anche quelli urbanizzati, sono di proprietà dei Dentice di Frasso, la questione interessa i comuni di Ceglie, Mesagne, Francavilla, Latiano, San Vito, Carovigno e dintorni. Ovunque i Dentice di Frasso, nel lontano 1800 avessero dei beni. 
 
Il quantum stabilito per ottenere una sorta di “riscatto” dei beni, che non è possibile usucapire (proprio per via dell’enfiteusi) è di 25 euro a metro quadro per gli immobili e di 3mila euro a ettaro per i terreni. 
Va versato al principe o comunque agli eredi. Di contro c’è l’impegno a svincolare i beni perché possano divenire di proprietà di chi li utilizza da tempo e avrebbe dovuto pagare canoni che, nel caos di statuizioni differenti, alla fine non sono mai stati corrisposti. L’enfiteusi, nel Brindisino, affonda le sue radici negli anni compresi tra il 1839 e il 1860. L’Italia non era ancora unita. San Michele Salentino, per dirne una, non esisteva affatto (il Comune è stato istituito nel 1929). La zona era boschiva e i terreni furono concessi agli agricoltori perché li curassero, li migliorassero, li rendessero produttivi. In cambio ai principi spettava un canone, da versare in denaro o anche in prodotti della terra. 
Vecchie storie, che si inquadrano in un contesto storico più o meno feudale, nettamente differente dalla realtà odierna. Il vincolo è però sopravvissuto, nonostante le proteste, le lotte. Le invocate riforme, le istanze di annullamento del meccanismo, diventato ormai del tutto superato. I beni sono passati di padre in figlio. Ma sono rimasti di proprietà della famiglia nobiliare, che ha mantenuto i suoi titoli, per quel che possano valere in quest’epoca. Il principe potrebbe un bel giorno chiederne la restituzione, rivendicando il possesso delle terre, se fosse nelle condizioni di pagare il prezzo delle migliorie apportate. Il “proprietario di fatto”, che proprietario non è, non ha la possibilità di donare o vendere ciò che ritiene comunque suo e che ha potuto usare come se lo fosse. 
Con l’accordo siglato da Giuliano Dentice di Frasso, in rappresentanza di tutti gli eredi della sua famiglia, e dalle sei persone che hanno acconsentito i beni sono stati “affrancati”, con la rinuncia a qualsiasi eccezione, pretesa, facoltà e aspettativa giuridica in dipendenza dell’intercorso rapporto enfiteutico. 
Al buon esito dell’operazione hanno contribuito la Cgil di Brindisi, con i sindacalisti Maria Ciracì e Antonio Macchia, supportati dall’avvocato Carmelo Molfetta. La famiglia Dentice di Frasso è stata rappresentata dall’avvocato Antonello Bruno. 
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