Il giorno che Brindisi si svegliò col cielo arancione

Il giorno che Brindisi si svegliò col cielo arancione
di Mino PICA
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Giovedì 7 Dicembre 2017, 06:15 - Ultimo aggiornamento: 8 Dicembre, 19:24
BRINDISI - Trenta minuti dopo la mezzanotte dell’8 dicembre 1977, Brindisi venne svegliata dall’esplosione dell’impianto denominato “P2T” del petrolchimico, che causò la morte di tre operai, ed il ferimento di 52 persone. Il boato dell’esplosione, avvertito sino a 50 chilometri di distanza dalla zona industriale di Brindisi, fu visibile con un intenso bagliore giallo arancione. Durante l’interpellanza parlamentare del 16 dicembre 1977, l’onorevole Domenico Pinto sottolineò di come “solo per fatalità l’incendio non investì la città di Brindisi”.
Lo scoppio del reparto di cracking dell’etilene costò la vita a Carlo Greco, di Lecce, operaio di 47 anni, Giuseppe Marulli, di Brindisi, quadrista di 34 anni, e Giovanni Palazzotto, di Lecce, perito chimico di 23 anni. I tre erano all’interno della sala controllo del cracker P2T e morirono, con ogni probabilità, carbonizzati, tanto che i vigili del fuoco riuscirono ad accedere all’interno della sala solo sei ore dopo il primo boato, quando il calore all’interno si ridusse. Altri due colleghi, all’interno, si salvarono solo perché scaraventati fuori dalla terribile forza d’urto dell’esplosione. Furono oltre un centinaio gli intossicati, tra lavoratori e soccorritori.
Per comprendere l’entità dell’incidente basta immaginare la composizione dell’ingente macchina dei soccorsi che si rese necessaria: 111 uomini e 28 automezzi antincendio, a cui si aggiunse l’apporto di centinaia di lavoratori che si riversarono nell’area per dare una mano. Ai 28 vigili del fuoco del comando provinciale di Brindisi, coordinato dal comandante Merolla, si aggiunsero infatti i 35 pompieri di fabbrica, 6 vigili del fuoco di Taranto, 7 di Lecce, oltre a diversi marinai del battaglione San Marco e le autopompe messe a disposizione della Marina Militare e dell’Aeronautica. Le fiamme, alte centinaia di metri, furono spinte lontano dal centro urbano grazie alla tramontana di quella notte ma tutto fece pensare al rischio serio di uno scoppio dell’intero complesso del petrolchimico, che avrebbe generato danni fortemente maggiori. In città, udito il boato, furono in molti a volgere lo sguardo a sud, con le fiamme ben visibili anche dai quartieri a nord, come il Paradiso ed il Casale. Al primo terribile boato ne seguirono altri meno fragorosi, e soprattutto numerose sirene. C’è chi ha raccontato della rottura dei vetri di finestre delle proprie case.
 
Fu subito avviato un piano di intervento, tra l’altro in collaborazione con l’Italsider di Taranto; ci vollero tre ore per tenere sotto controllo la situazione ed in quel momento si pensò all’assenza di vittime.
Non fu però così, perché all’appello mancavano tre operatori che furono poi ritrovati sotto i quadri elettrici del reparto P2T. Le indagini chiarirono che “i tre lavoratori si erano sacrificati nel disperato tentativo di mettere in sicurezza l’impianto”. Fu stabilito che una fuga di prodotto infiammabile, per la rottura della controflangia di una tubazione, causò una esplosione il cui effetto fu paragonabile a più di 10 tonnellate di tritolo. Nei giorni precedenti, alla notte dell’esplosione, dei lavori di manutenzione straordinaria furono eseguiti per nove giorni, proprio nel reparto P2T. Manutenzione che non evidenziò anomalie di rilievo.
Il sindaco di Brindisi, Francesco Arina, proclamò un giorno di lutto cittadino. Ai funerali, celebrati dal vescovo Settimio Todisco, parteciparono migliaia di persone. Il presidente di Montedison Giuseppe Medici quantificò in 100 miliardi di lire il danno riscontrato. Dopo il lutto, fu il turno delle polemiche e dello scenario occupazionale ben presto drammatico per Brindisi. Il mondo operaio e sindacalista sottolineò la scarsa manutenzione degli impianti, mentre il petrolchimico rimase fermo per due settimane. Nel gennaio 1978 furono licenziati 145 dipendenti che da lì a breve divennero 400. Si arrivò così alla cassa integrazione per diverse centinaia di dipendenti, dopo scioperi e tavoli istituzionali col governo centrale. Nel 1977 il petrolchimico occupava oltre 7mila persone tra dipendenti diretti e delle ditte appaltatrici. Gli impianti del petrolchimico furono avviati nel 1962, a capo di Polymer e Montecatini, poi fuse in Montedison nel 1968. Gli stabilimenti, che occupavano un’area di 700 ettari, ospitavano operai che per due terzi provenivano dalla provincia brindisina a cui si aggiungevano lavoratori leccesi e tarantini, con una età compresa soprattutto fra i 21 ed i 30 anni. La maggioranza aveva una licenza elementare, rari i diplomati; d’altronde solo nel 1962 venne istituita a Brindisi la specializzazione di chimica Industriale.
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