Rifiuti speciali tombati tra gli ulivi: sequestro e denuncia dei carabinieri

Rifiuti speciali tombati tra gli ulivi: sequestro e denuncia dei carabinieri
di Michele IURLARO
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Domenica 21 Maggio 2017, 05:35 - Ultimo aggiornamento: 17:44
Tra gli ulivi e sotto gli ulivi della macchia mediterranea, lastre di eternit, ma anche ferraglia, materiale di risulta e calcestruzzo. E del materiale era persino stato sotterrato, per una sorta di bomba ecologica che dovrà essere immediatamente disinnescata con una rapida, ma accurata bonifica. 
Nella maxi discarica illegale scoperta dai carabinieri del Nucleo Operativo Ecologico di Lecce e dai colleghi del VI Nucleo Elicotteri di Bari c’è un po’ di tutto. Il terreno, sito in contrada Salinelle in agro di Oria e a ridosso, quindi, del santuario di San Cosimo alla Macchia, si estende per circa 2mila e 300 metri quadri, interamente sequestrati dai militari. Il sequestro è di natura preventiva, mentre il proprietario dell’area con destinazione agricola, un imprenditore del posto, è stato denunciato alla Procura della Repubblica. 
Toccherà a lui ripulire la discarica a cielo aperto dove i carabinieri hanno rinvenuto scarti comuni, speciali e pericolosi. In particolare: ferraglia, onduline in eternit, calcestruzzo solidificato, conglomerato bituminoso e conci di tufo. Alcuni di essi erano tombati nel sottosuolo, forse al fine di nasconderli o di fare spazio a nuovi arrivi. Il Noe, oltre ad aver informato l’Autorità giudiziaria, ha notificato i provvedimenti anche all’Autorità amministrativa, cui anche spetta emettere i provvedimenti del caso. L’accusa a carico del proprietario del terreno è di gestione illecita di rifiuti speciali pericolosi e non e per discarica abusiva. 
 
Il valore dell’area, secondo le stime dei carabinieri del Noe, ammonta a 50mila euro. L’attività di indagine degli uomini dell’Arma sul territorio brindisino si conferma intensa, con importanti risvolti giudiziari. Lo scorso febbraio, al termine di un processo per reati ambientali per l’interramento negli uliveti del Brindisino dei fanghi provenienti dalla dismissione del sito Belleli di Taranto, il giudice monocratico di Brindisi, Genantonio Chiarelli emise sei condanne fino a un anno e dieci mesi di arresto e quattro assoluzioni, condannando anche due ditte individuali per illecito amministrativo e disponendo la confisca dei terreni usati per lo smaltimento “illecito” del materiale. L’inchiesta avviata dal Noe e coordinata dal pm della procura messapica Giuseppe De Nozza indagava sulla gestione di discariche non autorizzate e il trasporto di rifiuti speciali pericolosi. 
Nel corso delle indagini furono sottoposte a sequestro cinque diverse aree coltivate a uliveti e frutteti e ricadenti a metà strada tra i territori di Brindisi e Mesagne: una di 10.000 metri quadri, un’altra di 17.000, una 300 e infine due terreni di 20.000 metri quadri complessivi. Secondo quanto accertato, il materiale di risulta interrato fra gli ulivi era costituito oltre che dai fanghi di dragaggio anche da plastiche ed inerti da demolizioni edili e non sarebbe stato utilizzabile per ripristini ambientali in terreni agricoli, essendo i fanghi impiegabili solo per ricolmamenti in aree ad uso industriale con falda acquifera naturalmente salinizzata. I fanghi derivavano dall’intervento di messa in sicurezza e bonifica della falda superficiale nell’area ex Belleli, a ridosso dello stabilimento Ilva di Taranto. 
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