Formidabili anni Ottanta, quando c'era la speranza

Formidabili anni Ottanta, quando c'era la speranza
di Claudia PRESICCE
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Lunedì 30 Gennaio 2017, 13:14
Con le tasche piene di speranze e gli occhi spalancati sul futuro un gruppetto di diciassettenni, nonostante le tipiche angosce dell’età, scopre la vita al liceo Maiorana di Torino nel 1987. Intorno ci sono la musica, la tv e la leggerezza di un decennio che sembra contagiato dall’adolescenza e tutti, al di là dell’età anagrafica, si sentono più giovani, più belli, più potenti.
“Nessuno è come noi” (Mondadori; 18 euro) è il nuovo romanzo di Luca Bianchini che è stato presentato domenica a Brindisi.
Classe 1970, torinese d’adozione ma salentino di origine, Bianchini nel 2013 con le storie “pugliesi” “Io che amo solo te” e “La cena di Natale” ha scalato le classifiche, e poi nel 2015 e nel 2016 i suoi romanzi sono arrivati al cinema.
Allora Bianchini: il liceo Maiorana di Moncalieri a Torino, 17 anni nel 1987, tutto torna con la sua biografia. Cominciamo con lo svelare chi è Luca Bianchini tra i suoi protagonisti Vince, Cate, Spagna, o il bel Romeo.
«Come sempre una qualche parte di me c’è in tutti i miei personaggi. Tuttavia Vince viene da Nichelino che è la città da cui vengo anch’io e anche lui come me è meridionale. Negli anni Ottanta essere meridionali e vivere a Nichelino non era propriamente un vantaggio. La frase ricorrente che mi è sempre rimasta in mente era: “è meridionale ma è bravo”. Mi aveva molto colpito all’epoca e mi colpisce ancora perché è sempre molto attuale: oggi lo dicono per gli extracomunitari. È la storia che si ripete sempre e bisogna ricordarlo. Vincenzo Piscitelli che arriva al Nord da Scorrano è quindi sicuramente il personaggio che mi assomiglia di più».

I suoi adolescenti si muovono negli anni Ottanta tra aspiranti paninari e giubbotti rigorosamente griffati. Ma che cosa in particolare ha voluto raccontare di quel decennio? E che cosa manca oggi di quel periodo che per molti ha coinciso con la giovinezza, l’irrequietezza?
«Manca molto il coraggio di quei giorni. Manca il coraggio che avevamo nel metterci la faccia, nel conoscere le persone, nel chiedere aiuto, o solo chiedere informazioni. Oggi abbiamo tutto sotto controllo, diffidiamo, anche di un numero non in rubrica a cui magari non rispondiamo perché non sappiamo chi è. Allora invece correvamo tutti al telefono con la gioia di scoprire chi chiamava. Ho l’impressione che si sia creata una barriera tra noi e le altre persone e questo rende tutto più complicato».

Nel raccontare adolescenti di allora ha anche evocato una leggerezza e una spensieratezza che apparteneva proprio a quel decennio, al di là dell’età.
«Certo, eravamo tutti più ricchi, con più speranza e avevamo un forte senso di immortalità, che è poi tipico dell’adolescenza. Erano anni in cui anche uno come me che arrivava da una famiglia operaia andava a studiare al liceo tranquillamente, oggi non so se è così automatico. Avevamo tutti più sogni ed è importante ricordarci oggi che esistono ancora i sogni e che possono esistere anche le sorprese al telefono».

Giorni fa ha iniziato le presentazioni proprio a Torino in quel liceo. Li ha guardati in faccia? Quanto sono cambiati i ragazzi oggi rispetto ad allora?
«Pensavo di uscirne traumatizzato, invece ho capito che dentro restiamo sempre gli stessi. Ho incontrato i miei compagni di allora e ho riconosciuto in loro quello che erano, chi era disponibile lo era ancora, chi era gentile lo stesso, chi se ne fregava non è venuto. E i ragazzi di oggi sono fisicamente molto simili a noi, la stessa bellezza, gli stessi scazzi, gli stessi brufoli…».

Possiamo dire che le pulsioni irresistibili di quegli anni, gli slanci per l’amore, l’amicizia, il gruppo, sono rimasti uguali nonostante la virtualità e il loro mondo di “connessioni”?
«Sì, la vita è sempre più forte, la natura vince su tutto».

C’è un progetto già oltre alla pubblicazione di questo romanzo? Cioè avrà un seguito, diventerà un film, o cosa?
«Lo hanno già preso per un film. Ma niente è automatico, e non è neanche il mio sogno. Io volevo scrivere un bel libro e oggi sogno che la gente lo legga e che piaccia. Poi sono contento se si fa anche un film, ma non era la mia priorità, altrimenti avrei scritto un film, e sarebbe stato più facile. Riguardo ai sequel è vero che l’ho fatto una volta per un puro slancio, ma in genere non li amo. Per fare un sequel un libro poi deve avere successo, e ancora non sappiamo come andrà, è troppo presto. Vedremo, per ora non ho fatto calcoli in questo senso, ma non ne faccio mai».

Ma i suoi libri diventati film le sono piaciuti?
«Moltissimo, un vero regalo e una grande emozione. Ognuno mi ha regalato qualcosa, gli attori, il regista, il pubblico. Sono davvero molto contento, e poi mi piace molto l’idea del lavoro di gruppo che c’è dietro e ha il merito del successo».
 
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