A Roma i “sogni a colori” di Vittorio Tapparini

A Roma i “sogni a colori” di Vittorio Tapparini
di Marinilde GIANNANDREA
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Venerdì 21 Aprile 2017, 19:41 - Ultimo aggiornamento: 19:45

La felicità per Vittorio Tapparini passa attraverso il colore, la favola e la dimensione romantica.
Da domani l'artista leccese sarà per la seconda volta a Roma alla galleria della Chiesa di Santa Maria dei Miracoli con “C’era una volta il sogno” a cura di Claudia Presicce (inaugurazione alle 18.30), una produzione pittorica con cui ha scelto la strada dello storytelling, della narrazione sulle orme del padre Ugo che del racconto tra il grottesco e il beffardo aveva fatto la sua cifra stilistica.
Tapparini junior rinuncia volutamente alla provocazione e alla satira sociale perché sceglie un tono più leggero e fiabesco con l’intento di aprire gli spazi all’immaginazione e di spingere l’uomo di nuovo a sperare. 
«Dov’è finita la capacità di sognare? Bruciata e volata via da una quotidianità dura, critica e sempre meno a misura d’uomo, che si è portata via anche la speranza, l’utopia e quindi il futuro», scrive Claudia Presicce nel catalogo che accompagna la mostra. Di conseguenza il mondo si fa onirico, quasi infantile, anche nel tratto che enfatizza i profili e i contorni delle figure. È come se si raccontasse un’eterna favola d’amore, fatta di cuori, abbracci, paesaggi sereni, cieli stellati, mari che cullano, case colorate e visioni giocose e circensi, a volte tracciate con un tono ironicamente critico come nella “Barca dei media”. Questa serenità è soprattutto la speranza di trovare riparo dalle angosce del presente rifugiandosi nella chiarezza luminosa del colore e nella dolcezza dei sentimenti. Sono opere dall’atmosfera di sogno che talvolta fanno anche sorridere proprio per quell’immediatezza istintiva e felice.
 

 

All’attività di artista Tapparini affianca quella di operatore culturale a tutto tondo e, tra le varie iniziative, è stato anche l’ideatore e il curatore dal 2010 al 2014 delle tre edizioni della Biennale del Salento al Castello Carlo V di Lecce. Nella sua ricerca artistica ha esplorato con una certa inquietudine generi e stili diversi, spesso distanti tra loro, con una prima fase figurativa e in seguito con la ricerca e l’utilizzo di materiali diversi, a volte di origine industriale, come le figure in ferro della personale “Hidalgo” al Must nel 2013 in cui si avvertiva il tono eroico e urlato dei grandi corpi stilizzati e dinamici che occupavano lo spazio del museo leccese. 
In questa nuova produzione abbandona i caratteri più enfatici e si riavvicina al gusto della pittura a olio con una cifra che egli stesso definisce “anticrisi” e che diventa una volontaria reazione alla dimensione catastrofica del presente. Tutto comincia «dalle piccole cose, colorando le nostre case con tetti di panna, – scrive ancora Claudia Presicce – nutrendo di favole d’amore i nostri sogni, pescando le stelle, quelle cadute a cui questo fabbricante di storie dà corpo e voce».
I titoli si riferiscono questo mondo fiabesco e immaginario fatto di pathos gentile, di calore, di emotività, con le figure imperfette ma gioiose, dal sapore antico e con omaggi impliciti allo stile e ai soggetti delle opere del padre Ugo, come se illustrassero delle favole ottocentesche. Favole d’amore, naturalmente, perché i personaggi sono spesso in coppia e si lasciano andare a tenere effusioni regalandosi cuori, stelle, circondati da un mondo perfetto e gentile. «Le sue tele oggi seguono la scelta risoluta e mai casuale del disegno puro, surreale, con la voglia di raccontare imprese di uomini e donne, amori e tradimenti, visioni contemporanee filtrate da uno specchio antico, con la voglia di partire verso un altrove indefinito in un mare con onde insidiose e draghi buoni che rappresentano la società “liquida” con le sue obliquità». 
In questo moderno primitivismo Vittorio Tapparini segue più i sentimenti che le regole. E i sentimenti si rintracciano sia nel ribadire i legami forti con la pittura del padre, sia nel desiderio costante di fuga dalla civiltà, nella ricerca di un paradiso nel quale sembra finalmente essere approdato e nel quale ha scelto di volere sostare. 
Che le storie narrate siano anche autobiografiche lo dichiara il “Dipinto sogno” dove non rinuncia a un autoritratto interrompendo la dimensione visionaria e immaginaria con la riproduzione fedele della propria immagine e rinunciando solo per un attimo alla spontaneità e all’istintività.
All’inaugurazione della mostra interverrà Tonino Caputo, esponente di quella generazione di artisti salentini che a metà del secolo scorso ha scelto di andare via dalla provincia per entrare in contatto con le avanguardie e con il respiro dell’arte nazionale e internazionale. 
La mostra prosegue fino al 1° maggio.
Orari: dalle 9.30 alle 13.30 e dalle 15.30 alle 20.30.

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