La socialità solida di alcol e tabacco. Intervista (impossibile) a Bauman

Illustrazione di Giulia Tornesello
Illustrazione di Giulia Tornesello
di Stefano CRISTANTE
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Domenica 19 Novembre 2017, 19:51 - Ultimo aggiornamento: 20:03
Intervistatore: Che piacere poterla incontrare una seconda volta a Lecce, professor Bauman(1)!
Zygmunt Bauman: Anche per me è un piacere. Nel 2015, quando l’Università del Salento fu così gentile da insignirmi di una laurea honoris causa, avevo potuto intravvedere la bellezza del vostro territorio: ora vorrei capire meglio. Ho in programma una gita con la mia amica Barbara Wojciechowska, che ha insegnato tanti anni da voi, in vari paesi della vostra provincia. E poi Barbara mi ha assicurato che ovunque, nel Salento, si mangia e si beve bene.
I: Non la sapevo “bon vivant”...
ZB: Guardi: in novant’anni di vita sacrifici ne ho fatti, ma solo quando è stato indispensabile. Nel cibo e nel vino si trova l’essenza della relazione umana, e quanto maggiore è la loro qualità tanto maggiore è l’intensità del legame sociale.
I: Perbacco, lei mi stupisce.
ZB: Mi scusi, ma lei non era nella delegazione dell’Università del Salento che mi fu accanto insieme al vostro rettore durante la cerimonia della laurea honoris causa?
I: Complimenti per la sua memoria: ebbi questo privilegio, in effetti. Ma perché me lo chiede?
ZB: Ho il vago ricordo di aver firmato qualche copia di un mio libro a chi me la porgeva, ma dopo qualche minuto chiesi di uscire all’aria aperta. Lei ricorda cosa feci una volta usciti dall’aula magna?
I: Lo ricordo perfettamente. Noi pensavamo che lei fosse in affanno per la stanchezza e che volesse respirare una boccata d’aria, invece ci stupì accendendosi una sigaretta non esattamente leggera.
ZB: Mai piaciute le sigarette leggere. Fumo da quando combattevo nell’Armata Rossa, forse anche da prima. La pipa, ma anche le sigarette.
I: Di per sé non mi sembra cosa consigliabile alle masse globalizzate.
ZB: Vede, il fumo è certamente nocivo, ma dietro al consumo di massa di sigarette c’è anche qualche “re nascosto”.
I: Ci spieghi meglio.
ZB: “Re nascosto” è un’espressione del vecchio Simmel(2). Intendeva l’autentico spirito del tempo che si incarna in un fenomeno o in una percezione collettiva. È molto utile per un sociologo chiedersi, di fronte a un oggetto sociale, quale potrebbe essere il suo significato nascosto. Ad esempio il tabacco non è stato (e non è) soltanto un veleno: rappresenta anche una forma di socialità, di interruzione della solitudine. Fumato da soli o assieme agli altri, il tabacco ha accompagnato la creazione delle opere letterarie e artistiche, la fondazione dei partiti e dei sindacati, le amicizie maschili e femminili di molte generazioni.
I: E quindi? Dobbiamo ripristinare la pubblicità diretta di sigarette e superalcolici attraverso i media?
ZB: Voglio solo dire che prima di censurare le forme di auto-distruttività occorre capire che esse sono parte del percorso del Sapiens: d’altronde non vanno nemmeno dimenticate le osservazioni di pertinenza storico-sociale.
I: A cosa si riferisce?
ZB: Al fatto che il consumo di tabacco è cominciato in Europa e in America del Nord in modo massiccio solo nel XVIII secolo, sulla spinta di una tipica trasformazione indotta dalla visione occidentale dei nuovi sterminati territori oltreoceano: mentre i nativi americani usavano il tabacco come pianta sacra capace di alterare la percezione, i commercianti inglesi e olandesi misero il tabacco a coltura sistematica, con l’obiettivo di creare un mercato per la nuova pratica del fumo. Da allora i fumatori sono cresciuti enormemente di numero, fino a superare abbondantemente il miliardo.
I: Sta dicendoci che il capitalismo è connesso all’uso di massa del tabacco e delle sigarette?
ZB: Esattamente. E anche di più: nelle istanze di disciplinamento connesse alle fabbriche industriali le sigarette svolgono un ruolo fondamentale, perché diventano la “pausa” cui guarda il lavoratore per avere sollievo dal suo duro lavoro. Nello stesso tempo le sigarette sono promosse come status symbol e come merce di classe, elegante. Pensi solo a quanti attori e attrici le hanno pubblicizzate dalle pagine dei rotocalchi e dagli schermi cinematografici tra gli anni ’30 e gli anni ’80.
I: E l’alcol?
ZB: Il discorso è analogo: soprattutto nel primo periodo dell’industrializzazione inglese l’acquavite rappresentava una sorta di colpo finale nella giornata del lavoratore di fabbrica o di opificio.
I: In che senso?
ZB: Dopo dodici ore di lavoro massacrante gli operai si recavano in massa negli spacci di birra e acquavite. Quest’ultima aveva una gradazione micidiale. Gli operai dopo due bicchieri spesso perdevano conoscenza e venivano trascinati in una stalla dove erano state predisposte lunghe file di pagliericci. Passavano dal lavoro massacrante all’oblio di sé, senza tappe intermedie. La mattina alle 5 venivano svegliati per riprendere il lavoro. Una vita d’inferno.
I: Questi però sono aspetti che difficilmente possono essere considerati positivi. Come possiamo capire il “re nascosto” del tabacco e dell’alcol con queste premesse storiche?
ZB: Se il capitalismo domina gli ultimi tre secoli di vita dell’Occidente e dunque del pianeta, ciò non significa che non ci siano resistenze culturali forti e diffuse. Ma, soprattutto, il capitalismo non è in grado di impedire un uso inaspettato e persino “oppositivo” delle merci.
I: A cosa si riferisce?
ZB: Al fatto che i lavoratori nei decenni hanno creato comunità attraversate da rituali solidaristici e da una nuova sociologia della vita quotidiana. Alcol e tabacco sono stati usati in un modo che potremmo definire “sociale” dalla classe operaia: mentre nelle sue case entravano i primi frigoriferi e le prime lavatrici, gli incontri domestici o le bevute nei pub durante il week end servivano a non disperdere il capitale culturale dei lavoratori, sottoposti a una nuova tensione da parte del nascente potere mediatico, che spingeva a percepirsi sempre più come individui singoli invece che come parte di una classe di sfruttati. Ma qui il discorso diventa lungo.
I: Accidenti professor Bauman, ma qui abbiamo già finito lo spazio dell’intervista, purtroppo!
ZB: Davvero? Mi pareva avessimo appena incominciato.
I: Ahimé, no.
ZB: Allora sa cosa le dico? Assaggerei volentieri un bicchiere del vostro Primitivo, e fumerei una bella sigaretta non leggera.
I: Non c’è che l’imbarazzo della scelta professore, mi segua.
ZB: Mi farebbe prima accendere, cortesemente?



Note a piè di pagina:
1) Zygmunt Bauman (19 novembre 1925 - 9 gennaio 2017) è stato un sociologo polacco. La famiglia di Bauman, di religione ebraica, scappò dalla Polonia nella Russia comunista per sfuggire all’occupazione nazista. Giovanissimo, Bauman combatté nelle fila dell’esercito sovietico, e, per il suo coraggio, fu insignito della Croce di guerra. In seguito studiò sociologia e si avviò alla carriera universitaria. Avendo il padre dichiarato il proprio sionismo, il tradizionale anti-semitismo del potere polacco, seppure comunistizzato, si abbatté sull’intera famiglia e Bauman perse il posto universitario. Intorno al 1968 a Bauman fu anche ritirato il passaporto; fu dunque spinto ad accettare gli inviti delle università di Tel Aviv e quindi di Leeds, dove risiedette fino alla morte dopo aver guidato per molti anni il Dipartimento di Sociologia. Il libro che segnalò Bauman all’attenzione dell’opinione pubblica internazionale fu Modernità e Olocausto, uscito nel 1989, proprio quando l’Europa era catturata dalle nuove urgenze del post-guerra fredda. Il successo mondiale giunse nel 2000 con Modernità liquida, uno dei più testi più celebri della sociologia recente. 2) Georg Simmel (1858-1918), sociologo tedesco considerato tra i fondatori della disciplina.

 
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