Boeri ad Agorà Design: «E adesso impariamo dal modello Salento»

Stefano Boeri
Stefano Boeri
di Marinilde GIANNANDREA
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Sabato 25 Febbraio 2017, 16:37
«Le città del Salento sono paesaggi sociali misti e hanno nel loro Dna una profonda diversità. Ciò che uccide una città è l’omologazione e la segregazione. Questo territorio, al contrario, è un modello di possibile sviluppo, da cui tutti possiamo imparare».
Stefano Boeri, architetto di fama internazionale, è intervenuto a Martano per premiare il vincitore della sezione “Garden” della 13esima edizione di “Agorà Design”, il concorso sostenuto da “Sprech Group”, che ha trasformato per cinque giorni il centro della città e il Palazzo Baronale in un incubatore di idee, una piazza dialettica e uno spazio espositivo del design contemporaneo. Boeri, docente universitario al Politecnico di Milano e “guest professor” in diversi atenei internazionali, è uno specialista nell’osservazione del paesaggio urbano e del territorio contemporaneo, ed a Martano ha tenuto anche una lectio magistralis.

Professor Boeri, lei ha lavorato sull’edilizia di prestigio e sulle prospettive di riqualificazione e identità delle abitazioni spontanee.
«Le città sono tali solo con le loro molteplici differenze, varietà di culture, di spazi e di classi sociali. Qui nel Salento le pietre parlano di un’antica capacità di commistione ed è proprio questa caratteristica che bisogna pensare di salvare. Tuttavia non si deve essere nostalgici, ma avere la capacità ripensare e di reinterpretare tutto ex novo. È necessario porsi delle domande: quali sono oggi le popolazioni dinamiche di questo territorio? Come possono convivere con le parti più legate alla storia? In una terra come il Salento sono domande facili proprio per la sua formidabile diversità e biodiversità».

Con “Taranto Calling” lei ha vinto il concorso per la riqualificazione del centro storico della città jonica, di grande potenziale bellezza.
«Taranto è una città che conoscevo dagli anni Ottanta ed è un esempio drammatico della incapacità italiana di trovare un equilibrio tra le grandi questioni del lavoro e le questioni dell’ambiente. La città vecchia è un mosaico di tutte le città del Mediterraneo, dentro quella piccola “isola tra due mari” ci sono Salonicco, Marsiglia, Barcellona ed Alessandria. Qui si ritrovano la stratificazione e il palinsesto delle culture di tutto il Mediterraneo. Il nostro progetto è molto semplice. Parte dall’idea di rendere abitabile quello spazio, di eliminare radicalmente il traffico e quindi di inserire nuove funzioni legate alla ricerca e all’università. Abbiamo pensato di distribuire verso i due fronti-mare (il “Mar Piccolo” e il “Mar Grande”) le attività commerciali, artigianali partendo dalle domande e dall’ascolto dei suoi abitanti».

Con il suo “Bosco verticale” ha modificato lo skyline del quartiere Isola a Milano. Due grattacieli-giardino ad alta densità vegetale.
«L’architettura per me è un lavoro di bricolage, di osservazione, imparo dai miei errori. Il “Bosco verticale” è il frutto di questo processo. È un esperimento che deve essere verificato nel tempo, ma stiamo pensando di esportarlo e di costruire in Cina un’intera città simile, magari utilizzando il legno (che considero uno dei materiali del futuro). È indubbio che la sua presenza nella città abbia migliorato l’emissione di ossigeno e l’eliminazione delle polveri sottili».

Oggi Milano è una delle città più interessanti in Europa e nel mondo. È un modello esportabile anche nel resto dell’Italia?
«Milano è una città molto generosa e abbiamo avuto con l’Expo un’opportunità formidabile e spettacolare. Il cambiamento si vede e si percepisce, ma spesso si rischia l’autocompiacimento. Le città hanno dei cicli di vita e spero che questo ciclo continui. Ma perché questo accada è necessario che Milano si confronti con altre realtà. Non credo che si tratti di esportare una storia, ma di avviare uno spazio dialettico. E mi sembra che qui a Martano con Agorà Design stia succedendo proprio questo».

È questa la formula del successo di questa manifestazione?
«Nel dopoguerra in Brianza si sono incontrate le visioni dei grandi imprenditori e la creatività di giovani laureati del Politecnico di Milano. Così è nato il design italiano che per fortuna continua ad avere ancora un credito mondiale. Qui osservo un fenomeno analogo: la triangolazione felice tra l’imprenditoria privata di un’azienda, il territorio e la progettualità di giovani architetti e designer».
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