Carrisi: «Il mio nuovo eroe dentro il labirinto»

Carrisi: «Il mio nuovo eroe dentro il labirinto»
di Lucia Tilde INGROSSO
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Mercoledì 6 Dicembre 2017, 14:01 - Ultimo aggiornamento: 14:21
“Toccatemi tutto, ma non la Puglia”
Reduce dal successo al cinema, Donato Carrisi torna in libreria con un nuovo thriller scritto sul set. E ai lettori assicura: “Il finale vi sorprenderà”. Dice di non amare le vacanze (“Devo sempre fare qualcosa, è nell’indole dei Carrisi”) e di avere l’horror vacui. Sarà per questo che Donato Carrisi, 44 anni, di Martina Franca, apre strade, intraprende carriere, inanella successi. Con tre milioni di copie, è lo scrittore italiano di thriller più venduto al mondo. Scrittore, sceneggiatore, giornalista, presentatore televisivo. Il ruolo più recente è quello di regista: ha infatti diretto il film La ragazza nella nebbia, tratto dal suo romanzo omonimo e campione di incassi in autunno.
Cominciamo dal film. Qual è il suo bilancio?
«Ottimo, direi. Abbiamo aperto una nuova strada nel cinema italiano, che spero ora altri vorranno seguire. La risposta del pubblico è stata notevole. Gli spettatori avevano voglia di vedere questo film, almeno quanto noi avevamo voglia di girarlo. Ma il merito non è solo mio, anzi. Il risultato è frutto del lavoro di una grande squadra che ho avuto l’onore di guidare. Altri progetti cinematografici seguiranno, anche perché ho una società di produzione».
Qual è stata la più grande soddisfazione che le ha regalato il film?
«Sentirmi dire che non aveva tradito il libro. Molto spesso capita di vedere film che altro non sono se non il merchandising del romanzo (per sdrammatizzare, Carrisi indossava sul set la maglietta: “The book was better”: il libro era meglio, Ndr)».
Le critiche le hanno dato fastidio?
«No, io rispetto i critici perché hanno un ruolo fondamentale. Sono della scuola del ‘purché se ne parli’, a patto di farlo con cognizione di causa e onestà intellettuale. E comunque chiunque dedichi al tuo film due ore della sua vita ha tutto il diritto di dire che cosa ne pensa».
A fine ottobre era uscito il suo film, ai primi di dicembre è uscito il nuovo libro. Ma come è possibile: lo aveva già in cantiere da tempo?
«In realtà no. Avevo appena finito una lunga giornata di riprese sul set del film e mi stavo facendo una doccia, alle quattro di notte, quando mi è venuta un’idea. Ora, se una storia ti viene e non la scrivi finisce che la perdi, così ho iniziato a prendere appunti. L’ho fatto sul fascicolo della sceneggiatura. Tutti, e soprattutto i produttori, hanno iniziato a temere che stessi apportando delle modifiche. E invece stavo abbozzando il nuovo romanzo. Tra la fine delle riprese, a fine luglio, e l’uscita del film avevo un buco nero da riempire: ho trovato la scrittura utile e distraente».
Nel romanzo L’uomo del labirinto, che cosa troveranno i lettori?
«Come già suggerisce il titolo, troveranno un labirinto, un luogo in cui perdersi. Personaggi vecchi e nuovi. E un finale sorprendente».
Impressioni di chi lo ha letto in anteprima?
«La moglie di un amico lo stava leggendo a letto. A due pagine dalla fine ha lanciato un grido e scagliato via il libro. Segno che la storia coinvolge. Certo, al mio amico a momenti prende un colpo...».
Al centro della trama mette spesso bambini e ragazzi, perché?
«Perché essere stati bambini è uno dei pochi aspetti che ci accomuna tutti. E io non voglio scrivere solo per alcune categorie di persone, i miei libri sono per tutti. Certo, non li leggerei come favole della buonanotte, ma ho tanti lettori anche fra i ragazzi, da 12 anni in su».
Oltre all’intrattenimento, i suoi libri puntano a dare un messaggio?
«Assolutamente no. Non do lezioni né faccio morali. Ognuno ci trova ciò che vuole».
]Quando inizia a scrivere, sa già come finirà la storia?
«Sì, le belle storie si ricordano per il finale, perciò io parto sempre da quello. Conosco la meta, ma non so come sarà il viaggio, cioè il percorso di scrittura che mi porta fin lì».
Le sue presentazioni spesso si tengono in librerie indipendenti. Come le sceglie?
«Non scelgo le librerie, ma i librai. Ascolto le loro storie, sento che cosa vogliono realizzare con le loro librerie. Fondamentale che siano librai che leggono e che leggano anche i miei libri».
So che si arrabbia se la definiscono “scrittore pugliese”.
«Sì, chi tocca la mia pugliesità è come se mi toccasse la mamma. Non nominate la Puglia invano! Alle mie origini tengo tantissimo. Forse non metto la Puglia nei miei romanzi, ma di certo la metto nel mio essere scrittore».
Nel tuo percorso artistico e professionale si fa accompagnare anche da amici e collaboratori pugliesi.
«Infatti! Avete presente l’ampio cappotto scuro che Toni Servillo indossa nel film? Lo ha realizzato Pino Lerario, dell’azienda di abbigliamento Tagliatore di Martina. Oltre a vestire me, ha conquistato un successo in tutto il mondo. La colonna sonora è firmata da Vito Lo Re, a mio fianco sin da quando facevamo teatro da ragazzi. Altro mio collaboratore storico è il videomaker Graziano De Pace».
In Puglia si sente profeta in patria?
«I lettori mi amano. Lo stesso vale per gli spettatori. Per me è stato un grande piacere vedere che le sale in cui proiettavano il mio film erano sempre piene. Le istituzioni, invece, non mi hanno mai preso granché in considerazione. Forse per il mio genere letterario? Faccio un solo esempio, fra molti. L’altro giorno un’amica appena tornata dagli Usa mi ha segnalato che la public library di New York aveva tutti i miei libri, al contrario della biblioteca di Martina Franca, che non ne ha neanche uno. Una volta mi hanno chiesto di regalarli io, ma i libri non si regalano».

 
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