Studiare il cervello per dominare la lingua

Studiare il cervello per dominare la lingua
di Claudia PRESICCE
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Mercoledì 1 Febbraio 2017, 16:37 - Ultimo aggiornamento: 18:33
«Le questioni che riguardano la lingua sono molto serie per la vita sociale. Dominare la propria lingua, arricchirla, dà più fiducia agli individui. Le scienze del linguaggio, collegate a quelle del cervello e antropologiche, devono diventare gli orizzonti più aperti della scuola. E la scuola deve riorientarsi e farlo presto: i ragazzi corrono in questo mondo che gli abbiamo fatto trovare, ma i primi a non saperlo guidare siamo noi».
Lui è Francesco Sabatini, linguista, filologo, presidente onorario dell’Accademia della Crusca, e in questi giorni nel Salento (oggi a Maglie nel liceo Da Vinci e domani a Lecce all’università; i dettagli sono nel riquadro), spiegherà come attrezzarsi a difendere l’italiano, cominciando dalle scuole, con i concetti del suo ultimo libro di “Lezione di italiano” (Mondadori).

«Il tentativo è oggi diffondere un’idea più scientifica del linguaggio umano – dice – la nostra scuola e un po’ la cultura tutta italiana sono rimaste tagliate fuori nel ‘900 dalle scienze del linguaggio che sono conoscenze di punta per lo studio dell’essere umano e della società. I docenti quindi non hanno ricevuto nel periodo formativo questo apporto di conoscenze e prescindono dal collegamento tra lo studio della lingua e quello del cervello da cui proviene. La scuola è nata con l’invenzione della scrittura e mantiene il compito di far sviluppare e crescere le capacità di linguaggio verbale e specificamente della lingua scritta che è un’invenzione umana che richiede studio prolungato e più scientifico possibile».

Che cosa fare quindi?

«Avvicinare lo studio dell’italiano innanzitutto, e non dare per scontato che tanto lo conosciamo. E poi introdurre nella scuola più sapere scientifico intorno alle lingue».

I nuovi orizzonti della Linguistica italiana sono sostanzialmente questi quindi.

«Sì. Quando si parla di linguaggio non si può limitare il discorso né all’aspetto letterario né alla pratica quotidiana. Il linguaggio umano è radicato nel cervello quindi bisogna interpellare gli studiosi del cervello della specie umana. Così come per altre discipline si interpellano gli specialisti del cuore o del fegato».

Lei ha detto: “la lingua madre è per l’individuo l’anima della sua personalità”. Spieghiamo perché?

«Tutti gli esseri umani sono caratterizzati dall’uso del linguaggio che con l’evoluzione si è sviluppato in punti precisi del cervello. Questo strumento del linguaggio è quello che produce la cultura della persona e di una società. Le caratterizzazioni del modo di vivere e delle conoscenze sono affidate al linguaggio. La nostra persona culturale dipende molto da quanto e come ci serviamo della lingua. Ognuno di noi attraverso la lingua ha quindi sviluppato una certa fisionomia e si è dotato di una particolare anima culturale».

Si può dire che una civiltà migliore non può prescindere da una conoscenza e un uso più corretto della lingua?

«Sì, soprattutto dalla padronanza della lingua verbale, che sia efficace, accettata, esprima perfettamente i contenuti. “Corretto” non vuol dire aderente alle regole del professore, ma dal successo della comunicazione con gli altri. La correttezza della lingua dipende dalla sua efficacia, la più larga possibile, nella società per comunicare contenuti di ogni genere facilmente».

C’è una deriva della grammatica italiana scavalcata da nuove metodologie di scrittura veloce sul web dove saltano apostrofi degli articoli o accenti, o no? C’è da preoccuparsi?

«Sì, con lumi di ragione. Le tecnologie legate alla comunicazione della lingua da sempre influiscono sulla lingua stessa: l’invenzione stessa della scrittura è stata una prima tecnologia, con i vari materiali usati per scrivere che hanno influito sull’uso della lingua. L’invenzione della stampa che ha popolarizzato un po’ l’uso della lettura e della scrittura si sono dovute adottare norme migliori per accentazione, apostrofo, punteggiatura, ecc. La tecnologia legata all’uso della lingua è quindi sempre un fattore di cui tener conto e attualmente le possibilità sono diverse. Si può scrivere più veloce, anche abbreviando molto. E questo per esempio non lo hanno inventato i giovani di oggi né gli ideatori dei cellulari, le abbreviazioni hanno origini antichissime. Tuttavia la scrittura è fatta per la parte di cervello che è legata agli occhi, e non sempre tagliare una parola ne restituisce tutto il senso». 

Quindi possiamo non abituarci.

«Trascurare accenti o apostrofi e abbreviare, risponde spesso alla necessità della scrittura veloce, ma la scuola deve insegnare sempre che una frase completa è l’unica forma per dare al cervello la possibilità di captare al meglio un discorso. Se può essere uguale scrivere “arr dom” per dire “arrivo domani”, non è lo stesso “tvtb” per fare una dichiarazione d’amore: l’abbreviazione qui non basta, ci vogliono concetti più efficaci».

Qualche mese fa l’Accademia della Crusca ha puntato ad alzare l’attenzione sui troppi inglesismi che l’italiano sta assorbendo: erano i giorni della “stepchild adoption”...

«Uno degli aspetti dell’ampliamento della comunicazione umana nel globo, dei contatti con altri Paesi, è l’arrivo più facile di parole di altre lingue, e soprattutto della lingua in qualche modo dominante. Questo porta tante nuove parole che servono, ma anche alcune che non ci servono proprio perché esiste il loro corrispettivo in italiano. Una parola straniera che non ci serve ci danneggia, perché non rientra nella nostra “famiglia” di nomi, aggettivi, verbi, avverbi e quindi scompiglia il sistema. Un termine che aggiunge un concetto o un oggetto nuovo, difficilmente traducibile, va accettato e aggiunge anche qualcosa di nuovo. Gli altri casi sono frutto di esibizionismo puro, mode inutili: parlare di “location” per indicare il luogo di una riunione non serve a niente e danneggia l’italiano perché non si lega con le altre parole. “Stepchild adoption” è un esempio di altra parola che in italiano c’è già, cioè “figliastro”, con la stessa connotazione un po’ negativa: scegliere l’inglese è uno sfoggio di conoscenza ridicolo e di stupidità. Alcuni deputati non sapevano neanche pronunciarlo, ma forse non sapevano neanche che cosa significava esattamente».
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