Tra fasti e miserie, l'eredità perduta della lingua greca

Una scena de "Il nome della rosa"
Una scena de "Il nome della rosa"
di Rosario COLUCCIA
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Domenica 26 Marzo 2017, 17:41
Di mestiere faccio il linguista. Nicola De Paulis, collaboratore di Quotidiano e assiduo lettore di questa rubrica, mi scrive: «Umberto Eco è probabilmente il letterato e romanziere italiano più conosciuto al mondo per il suo famoso e affascinante romanzo giallo-storico Il Nome della Rosa, tradotto in 40 lingue, di cui sono state vendute 50 milioni di copie. Da molto tempo, dopo aver letto il romanzo ed anche visto il film, penso che questa bellissima storia abbia un qualche legame con il Salento, con la sua cultura, in particolar modo con la nostra cultura greco-bizantina, e che Umberto Eco conoscesse e si sia ispirato ai nostri codici greci, forse i codici di Càsole, o di altri centri greci del Salento, sparsi nelle varie biblioteche d’Italia e d’Europa. Infatti il romanzo si apre con la morte di Adelmo da Otranto, famoso come grande maestro miniatore; poi si verifica la morte di Venanzio, giovane monaco traduttore dal greco, che per conoscere il greco doveva essere del Sud Italia in quanto è risaputo che il greco nel basso medioevo non era molto conosciuto nel nord della penisola». E conclude: «Credo che Eco non sia mai venuto nel Salento, forse avremmo dovuto invitarlo e promuovere un po’ la nostra cultura e farci anche noi un po’ di pubblicità?».

Sull’ultima questione non mi pronunzio, non so se avremmo dovuto invitare Eco nel Salento. Per quanto mi riguarda sono profondamente convinto che la migliore pubblicità alla nostra terra venga, più che dagli inviti rivolti a personalità esterne (a volte tutto si riduce a un contatto effimero, senza sostanza), dalla capacità di studiare molto seriamente, ai massimi livelli, la nostra cultura (letteraria, linguistica, storico-artistica, archeologica, ecc.) e di presentarla al mondo. Accompagnando allo studio dei fenomeni culturali l’impegno ad accrescere la professionalità nelle strutture pubbliche, a rendere efficienti i trasporti e i servizi, a rispettare l’ambiente, a tenere pulite strade, campagne e spiagge, a tracciare piste ciclabili degne di questo nome, insomma a migliorare la qualità della vita. Se la qualità della vita migliorerà, il Salento, intrinsecamente molto attrattivo per la storia e per le bellezze naturali, non avrà bisogno di pubblicità esterne o fittizie, si farà pubblicità da sé, nel modo giusto.

Torniamo allo spunto iniziale. Eco, le cui informazioni erano sterminate, sicuramente conosceva il ruolo importantissimo svolto dalla componente greco-bizantina nel Salento medievale. In un’ampia fascia del Salento centro-meridionale, da Otranto fino a Gallipoli, per secoli si è parlato e scritto in lingua greca. Tutto il sud fu colonizzato dai greci in epoca remota, già prima dell’arrivo dei romani: Gallipoli, Otranto, Taranto e altre località fiorirono e si svilupparono meravigliosamente. Poi, nei secoli successivi, ci furono altre ondate migratorie dall’Oriente: uomini e donne si spostarono a migliaia dalla Grecia nelle terre del Sud Italia, portando con sé le proprie tradizioni (usi, costumi, religione) e la propria lingua: il Salento fu intensamente grecizzato. Fu una migrazione importantissima per l’ampiezza della diffusione territoriale e per l’intensità del radicamento linguistico, nonché straordinaria per la raffinatezza delle manifestazioni culturali che quelle popolazioni seppero esprimere. Greci e latini vissero fianco a fianco per secoli, a volte in concorrenza, ma non vi furono eccidi e persecuzioni, la convivenza fu sostanzialmente pacifica.

La convivenza generò effetti benefici. Dalla fine del sec. XI fino alla prima metà del sec. XVI questa terra diventò il tramite più importante per la diffusione della cultura greco-bizantina nell’intero mondo occidentale. Nelle abbazie monaci dotti ricopiavano le opere della grecità, custodivano gelosamente e mantenevano in vita quella cultura, la diffondevano. Il centro scrittorio più importante fu il monastero di San Nicola di Càsole (presso Otranto), oggi malinconicamente ridotto a un muro o poco più, inglobato in una proprietà privata: lì sì produsse un numero straordinario di manoscritti, agirono personaggi importanti, nella prima metà del Duecento un gruppo di poeti scrisse poesie in lingua greca a sostegno dell’attività politica di Federico II, il grande imperatore svevo. Sono oltre quattrocento i manoscritti trascritti a Càsole: opere della cultura greca classica e post-classica, testi grammaticali, raccolte e sussidi necessari all’interpretazione di testi difficili, libri che riflettono esigenze religiose e culturali della comunità.

A Càsole si svolgeva a una vera e propria attività di prestito dei libri, come nelle biblioteche di oggi. I lettori erano in maggioranza preti, ma vi erano anche laici, un giudice, un notaio. Il ruolo del monastero viene esaltato da Galateo: a Càsole era possibile studiare gratuitamente le lettere greche, usufruendo di maestri esperti e sfruttando la ricca biblioteca. Scuole e nuclei di cultura erano attivi anche altrove, come prova la lista dei libri posseduti da una più modesta biblioteca impiantata forse ad Aradeo (o in un altro centro salentino) e un’antologia legata all’insegnamento contenente prose e poesie di carattere sacro e profano accanto ad opere importate dalla Grecia e ad altre di origine salentina. Abbastanza fervida era pure l’attività scrittoria di centri laici minori a Soleto, a Galatina, ad Aradeo, a Gallipoli.

La distruzione di San Nicola di Càsole da parte turca nel 1480-81 accelera il processo di decadenza della cultura scritta greca nel Salento. L’estinzione non è immediata, i tempi della storia non sono istantanei. Il fenomeno, iniziato da tempo e reso drammatico dal sacco di Otranto, si accentua nel secolo XVI. L’ultimo funerale di rito greco, celebrato a Gallipoli il 10 gennaio 1513, può essere assunto a simbolo del tramonto di un’epoca. Tuttavia il limite può estendersi, esiste un pubblico in grado di leggere testi in greco ancora nel 1607: in quella data un emissario del Cardinal Borromeo acquista una cinquantina di codici salentini in greco oggi conservati nella biblioteca Ambrosiana. L’incetta del cardinale milanese si aggiunge ad altre spoliazioni precedenti e costituisce per la cultura salentina un danno irreversibile: i codici che si perdono non possono essere rimpiazzati da nuovi prodotti, nessuno scrive più in greco.

Oltre al condizionamento economico che potrà aver indotto i proprietari a disfarsi di quanto posseduto, l’alienazione può attribuirsi a un mutato atteggiamento dei locali nei confronti della tradizione italo-greca, forse giudicata di retroguardia e di poco conto, e sicuramente in difficoltà di fronte ai modelli della cultura italiana. Tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento il galatinese Baldassar Papadia, che raccoglie opere di Galateo contenenti dei brani in greco, non trova nella sua città un copista all’altezza del compito ed è costretto a contentarsi dei servigi di uno scriba che non sa riprodurre i brani greci. Ed anche altri opuscoli dello stesso Galateo posseduti da un altro erudito galatinese negli stessi anni risultano per lo più privi del greco, i copisti non sanno scrivere in questa lingua.

Dove si trovano, oggi, i tanti codici greci compilati in Salento secoli addietro? Nulla è rimasto in sede, neanche una briciola. Così va da noi: si generano cose eccezionali, poi si dilapida, per incuria e per incapacità. È il Sud, bellezza. Purtroppo la storia si ripete anche ai nostri giorni, in molti campi. Pensate all’inettitudine con cui le classi cosiddette dirigenti del meridione si sono misurate con il flagello della xylella, che rischia di modificare irreparabilmente il paesaggio della nostra terra. Politici di ogni parte, per favore nessuno si provi a strumentalizzare le mie parole per affarucci di bottega. Solo parole per anni e anni, neanche oggi hanno un’idea di cosa fare. E si meravigliano che gli agricoltori siano furibondi! Torneremo la prossima settimana sull’argomento, non si può lasciar cadere, è un impegno civile.
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