Frankenstein, 200 anni e non sentirli. Il libro di Lisa Ginzburg

Frankenstein, 200 anni e non sentirli. Il libro di Lisa Ginzburg
di Ilaria MARINACI
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Lunedì 25 Febbraio 2019, 21:24 - Ultimo aggiornamento: 21:28
«All'acqua padre si arriva abbattendo dighe. Spezzando argini. Nasce così, una grande, grandissima storia. Una pura invenzione». Usa questa bella immagine la scrittrice e saggista Lisa Ginzburg, ospite oggi a Lecce, per definire Frankenstein di Mary Shelley, che ha compiuto 200 anni di vita eppure continua a conquistare generazioni e generazioni di lettori. Questo romanzo gotico, che spaventa e fa riflettere, è al centro del nuovo saggio della Ginzburg, Pura invenzione. Dodici variazioni su Frankenstein di Mary Shelley, pubblicato da Marsilio nella nuova collana PassaParola, in cui gli scrittori italiani raccontano del mondo e di sé partendo da un libro speciale.
Mary Shelley, figlia di una filosofa femminista e di un filosofo politico, comincia a scrivere, nel 1816, il romanzo del nuovo Prometeo, la storia del mostro reso colpevole dall'evidenza di non essere stato amato. La Ginzburg, figlia di una storica del femminismo, Anna Rossi-Doria e di uno storico, Carlo, e nipote di Leone e Natalia Ginzburg, a due secoli dalla prima pubblicazione del libro, ci racconta il suo Frankenstein lettera per lettera, dalla F della Felicità di rileggerlo e ritrovarlo alla N di Nascere, che è sempre il verbo dove tutto comincia.
È stata lei a scegliere Frankenstein?
«Sì, con la direttrice della collana, Chiara Valerio, avevamo già parlato di Frankenstein e, quando è arrivata la proposta di scrivere per uno dei tre libri che avrebbero inaugurato la nuova collana, ho optato per questo grande classico».
Perché è legata a questo testo?
«È stato per me sempre una lettura importante e poi mi dava modo di agganciarmi ad alcuni elementi autobiografici, che è l'aspetto caratterizzante di questa collana. Non solo rileggere un classico tout court, ma anche usarlo per ragionare di sé e intersecare qualcosa di personale. Quindi, da un lato, il legame fra il mostro e il padre, il dottor Frankenstein, e, dall'altro, la Shelley e i suoi rapporti col proprio padre erano binari che mi permettevano di parlare anche di me».
Che somiglianze ha trovato con la Shelley?
«Suo padre, William Godwin, era un uomo molto colto e lei respirava molta cultura intorno a sé. Fra le persone che frequentavano la sua famiglia, c'era anche il poeta Samuel T.Coleridge. Nel libro, ho ricostruito il momento in cui la Shelley bambina ascolta Coleridge leggere La ballata del vecchio marinaio. Ma nella sua casa erano spesso ospiti anche filosofi e con loro si discuteva delle possibilità della scienza e della ragione umana. Crescendo, si innamora del poeta Percy Shelley, che diventa anch'egli amico del padre. Insomma, è circondata da un mondo maschile abituato a ragionare molto di testa e, secondo me, questa sua pura invenzione arriva anche come reazione all'intelletto esagerato con il quale è stata sempre in contatto. Questo mi permette di parlare anche di me, che, da giovane, studiavo filosofia e volevo diventare una filosofa, invece, a un certo punto, ho scelto la letteratura perché sentivo più libertà. Quindi, ragiono, anche in termini teorici, su cosa sia immaginare rispetto a dover sempre riflettere sulle cose».
Lei approfondisce, poi, il discorso su Frankenstein e la sua creatura puntando sul concetto di paternità e definendo il mostro l'essere più vulnerabile del romanzo. In che senso?
«Per questa sua solitudine bisognosa di amore e di riconoscimento. C'è tutto il discorso sull'essere nati ma non nati perché il nome non ti arriva. In effetti, vedo il mostro come una creatura molto vulnerabile, anche dolce nella sua bruttezza, e, in questo senso, evoco la fotografa americana Diane Arbus che ha ritratto tanti freaks, tanti mostri. In uno scatto, si vede, ad esempio, un gigante con i genitori e trapela tutta la pena dell'avere un figlio mostruoso».
Nel romanzo, ci sono tanti spunti filosofici, anche attuali, per esempio, sui limiti della scienza. Cosa ne pensa?
«Non si può creare il naturale con l'innaturale. Il naturale deve sorgere naturalmente, invece l'innaturalità assedia tutto nelle nostre esistenze. Ma devo dire che io questo romanzo lo leggo più in termini poetici che scientifici».
Secondo lei, in questi suoi 200 anni di vita, cosa ha rappresentato per la letteratura mondiale?
«Un'invenzione straordinaria, perché è pura invenzione con un grado visionario sconvolgente. Basta pensare che questa ragazza di 19 anni che vive in Svizzera partecipa ad una gara letteraria e dal nulla s'inventa uno schema narrativo incredibile, che non si era mai visto prima, costruito in modo tale da impressionare tutto il mondo. Forse questa visione di mostro non è arrivata proprio dal nulla, perché c'erano all'epoca i golem e un'atmosfera gotica in cui si poteva immaginare una creatura del genere, ma sta di fatto che Frankenstein è lei che lo concepisce come un fulmine che arriva nella notte dell'invenzione».
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