"L'animale notturno", Piva gioca d'azzardo con la felicità

"L'animale notturno", Piva gioca d'azzardo con la felicità
di Valeria Blanco
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Giovedì 26 Gennaio 2017, 23:25 - Ultimo aggiornamento: 27 Gennaio, 16:52
Dieci anni sono passati dall’ultimo (e anche primo) romanzo di Andrea Piva, “Apocalisse da Camera”. Un tempo sufficiente all’autore per vivere un’altra vita – giocatore professionista di poker – e poi far ritorno alla precedente, quella di scrittore. Quando come sceneggiatore aveva firmato “LaCapaGira” e “Mio Cognato”, per la regia del fratello Alessandro, e “I Galantuomini” di Edoardo Winspeare.

Due vite che ritornano nell’ultimo lavoro di questo autore barese, classe 1971, che ha pubblicato ora per Giunti “L’animale notturno”. Gli elementi per definirlo un romanzo autobiografico, con innesti ovviamente di fantasia, ci sarebbero tutti. Vittorio Ferragamo, il protagonista, è uno sceneggiatore che “a soli trent’anni è già riuscito sia a sfondare che a clamorosamente fallire”. 

“Silurato” dal mondo del cinema dopo aver rotto il naso al regista con cui collaborava proficuamente, decide a tavolino di diventare ricco, anche facendo a meno del suo talento di saper plasmare le parole. E il primo passo gli sembra, più o meno lucidamente, dover iniziare a comportarsi da ricco andando a vivere in un appartamento nel cuore di Roma, a pochi passi dal Pantheon. Un’intuizione meno ingenua di quanto potrebbe sembrare, dal momento che respirare anche solo l’aria di antichi e lussuosi palazzi gli dà la possibilità di estendere le sue frequentazioni, fin qui limitate a donne occasionali e compagni di festini a base di coca.

Il romanzo si divide nettamente in due parti, scritte con lo stesso linguaggio elegantemente feroce, ma diverse per atmosfere e stati d’animo. Se nella prima parte il protagonista vagabonda per Roma cullato dalla sua rassegnata disperazione, che rasenta l’indolenza e ricorda quella di alcuni personaggi di Houellebecq, nella seconda parte Vittorio dà a questa disperazione una declinazione più creativa, trasformandosi nella versione contemporanea del “Giocatore”. Superata la fase dello smarrimento, dell’ansia da futuro e del vizio fine a se stesso, si passa a quella della “maturità”, in cui il vizio è elevato a strumento di riscatto. 
E qui entra in scena il senatore che, contando sulla comune passione per il gioco d’azzardo e su un conto in banca apparentemente senza fondo, introduce l’uomo di lettere Ferragamo nel complicatissimo mondo della statistica e della matematica probabilistica. Facendo di lui, di fatto, un (quasi) imbattibile giocatore di poker e permettendogli, finalmente, di realizzare quel sogno di ricchezza elevato a valore assoluto.

Com’è nello stile dell’autore, accanto alla trama principale scorrono sottotraccia rivoli di storie che aprono voragini di riflessione. Prima tra tutte, la feroce critica al mondo del cinema e dei “cinematografari”, che poi è metafora di un Paese dove la meritocrazia non esiste e che ha smarrito il senso del ridicolo; il fallimento di un’intera generazione, il servilismo come passepartout in ogni campo e la (supposta) supremazia della scienza sulla letteratura. Questo romanzo prende il lettore a pugni in faccia. Eppure chi legge vuol continuare a prenderne, mentre passeggia sottobraccio a Vittorio in una Roma splendida e decadente alla Sorrentino.

Di Ugo Cenci, il protagonista del precedente romanzo, rimangono il candore con cui partecipa a ogni genere di nefandezza e quelle vocine nella testa che forniscono saggi consigli, sistematicamente disattesi. Ci sarebbero tutti gli ingredienti per detestarlo, questo personaggio, spesso animato da spirito di superiorità, che brucia il suo talento girando sdegnoso le spalle a chi non lo comprende, piuttosto che lottare per dimostrare di avere ragione. E invece si partecipa al dolore di Vittorio e ci si trova a fare il tifo per il suo riscatto forse anche perché, invocato continuamente per nome, alla Jonathan Coe, il lettore si trova forzosamente inchiodato alle proprie debolezze.

Ma poi chissà se davvero la ricchezza fa la felicità e se le lettere non servono più in questo mondo dominato dalla scienza, dalla matematica e quindi metaforicamente dal calcolo. Se lo chiede, quel Vittorio che la matematica ha reso ricco, vincente e apparentemente realizzato. Ma quello su ricchezza e felicità, scienze e letteratura, è un discorso che si complica come scatole cinesi: mentre Ferragamo forse trova la felicità nella matematica che gli permettere di fare soldi a poker, Piva - che di Vittorio è l’alter ego - poker e matematica li lascia (forse per sempre) e torna felicemente alla letteratura. 
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