Milo, sogni e memorie di una musa senza tempo

Milo, sogni e memorie di una musa senza tempo
di Ilaria MARINACI
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Domenica 13 Maggio 2018, 06:15
Del Salento Sandra Milo ama i paesaggi. «Niente – dice – ti commuove come la bellezza». E lei si è commossa fino alle lacrime guardando Gallipoli dal quattordicesimo piano del “grattacielo”, dove erano in corso alcune riprese del film “Free” per la regia di Fabrizio Maria Cortese. La produzione sta girando proprio in queste settimane fra la “città bella” e Racale e la Milo, musa di Fellini, è la protagonista indomita di una storia poetica che parla d’amore e libertà. «Ho 85 anni ma sento che vivo il mio tempo e non mi sono fermata nel passato», confessa, lei che quest’inverno è stata impegnata pure a teatro.
In Puglia torna a distanza di pochi mesi, dopo l’esperienza con Diego Abatantuono nel film “Un nemico che ti vuole bene”, ambientato in parte anche nel capoluogo salentino. «Lecce ha imprigionato il sole nelle sue pietre. Le case sono luce – racconta – e la gente per le strade vive la città come se ce l’avesse addosso». La sua prima volta nel Salento, però, risale al 2010 e si deve all’intuizione di Massimiliano Verdesca che la volle nel ruolo della nonna rock per la sua opera prima, “Viva Zappatore”. Un film che ha lasciato un segno nell’attrice nata a Tunisi, interprete negli anni Sessanta di film come “Il generale Della Rovere”, “Adua e le compagne”, “Fantasmi a Roma”, “Giulietta degli spiriti” e “8½”, premiato con l’Oscar. «Massimiliano è un visionario, capace di dare un senso in più alle cose, e mi dà grande dolore che per ora non stia facendo cinema, dedicandosi ad altro».
Ci racconta la parte che sta recitando in “Free”?
«Sono Mirna, una donna slava che vive in una casa di riposo a Roma, innamorata di un pericoloso criminale di guerra detto “il macellaio”. Lo credeva morto ma poi scopre che è vivo e si nasconde in un paesino del Salento, in barba alle polizie di mezzo mondo. Decide allora di cercarlo. Si confida con una cantante, interpretata da Corinne Clery, e con lei e altri ospiti della struttura ruba una macchina e parte alla volta della Puglia. È un film che parla del sentimento della libertà che non muore mai. Un inno alla vita, all’amore, alla speranza di poter ricominciare a qualunque età. Tutte cose in cui io stessa credo. Per raccontarle ci voleva un poeta e il regista lo è».
Su cosa si basa quando sceglie un copione?
«Non sulle storie, che, nella sostanza, si assomigliano tutte. A me importa come sono raccontate: se si riesce a coinvolgere le persone, a commuoverle ed emozionarle, a fare in modo che si riconoscano nei sentimenti che trasmetti. Oggi si raccontano tante storie ma nessuno pensa più al significato da dare».
Prima gli sceneggiatori del cinema italiano erano i grandi scrittori, come Ennio Flaiano. Oggi questo legame pare interrotto. La crisi delle storie è dovuta anche a questo?
«Credo che gli scrittori bravi ci siano ancora. Secondo me, la crisi è legata al modo di vivere molto superficiale di adesso. Non vedo ragazzi che si battono per le loro idee, nessuno che tenta più di cambiare il mondo. Anche chi protesta, lo fa perché ha una grande frustrazione dentro che, a un certo punto, esplode, ma non c’è tensione ideale. Cosa che manca anche sul grande schermo. Tanti film formalmente belli non ti lasciano nulla, mentre il cinema deve essere emozione. Un’emozione che comincia quando si spengono le luci in sala: già allora esci dal tuo io e sogni. Ma se quello che vedi è piatto e non significa niente, la magia non si completa».
Quali sono stati i tre registi più importanti per lei?
«Il primo è Antonio Pietrangeli, un grandissimo ma non famoso come Visconti o Fellini perché non era un personaggio. Era timido, schivo ed è scomparso troppo presto. È stato forse l’unico regista dei suoi tempi – se si esclude Antonioni in alcuni lavori – ad avere uno sguardo particolare sulla figura femminile. Amava le donne e sapeva raccontarle, come in “Io la conoscevo bene”. Avrei dovuto esserne la protagonista ma, dopo il disastro a Venezia di “Vanina Vanini” di Rossellini, venne messo un veto su di me, tacciandomi di non essere un’attrice, nonostante due anni prima non avessi vinto la Coppa Volpi per un solo punto con “Adua e le compagne”, sempre di Pietrangeli».
Il secondo regista, quindi, è Rossellini?
«Sì, Rossellini era un genio. Aveva inventato lo zoom prima del tempo posizionando la cinepresa su un treppiedi artigianale che allontanava e avvicinava a seconda delle necessità. Il terzo è, ovviamente, Fellini».
Con cui ebbe una relazione. Cosa la affascinava di più di lui?
«Mi sono innamorata pazzamente di Federico la prima volta che l’ho visto e non mi è mai passata, nemmeno adesso. Aveva uno sguardo che ti entrava dentro e ti frugava, ma con leggerezza, senza invadenza. Poi se ne andava via, perché, una volta che aveva capito chi eri, cercava altre anime. Col tempo, ho capito anche che aveva una grande spiritualità: lui disegnava grandi seni, culi, ma in tutti i suoi film non c’è mai la scena di un bacio sulla bocca perché aveva un enorme rispetto per questo sentimento. Mi chiedo ancora cosa cercasse nelle donne. Forse il mistero della vita».
Perché è passata dal cinema alla tv?
«Sono stata la prima attrice cinematografica di una certa notorietà a fare televisione, che allora era la parente povera del grande schermo. L’ho fatto perché tutti mi consideravano una creatura di Fellini e la cosa cominciava a darmi fastidio. Ho pensato che la tv potesse liberarmi da questo fardello e così fu. Debuttai con Antonello Falqui a Studio Uno, dove ballavo, cantavo e recitavo tutto in presa diretta. Un’impresa per chi veniva dal cinema, ma io ebbi successo e popolarità. Falqui era il Fellini della televisione».
Adesso, invece, si divide fra cinema e teatro.
«Il teatro è un’emozione, la prima e più antica forma di spettacolo. Entri in scena e sei il pubblico, il pubblico è te. C’è una trasmissione emotiva straordinaria».
Oggi qual è il sogno di Sandra Milo?
«Sogno tante cose perché i sogni colorano la vita, quando è grigia. Non è importante nemmeno realizzarli ma averli. Quando smetti di sognare, cominci a morire. Io da anni ho rinunciato ad avere un compagno, ma sogno ancora di incontrare una persona che possa esserlo. Al cinema mi piacerebbe rifare “Harold & Maude”, emblematico per dire che l’amore non ha età, è amore e basta. È il più bel film che abbia mai visto. Dopo “8 e ½”, naturalmente».
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