Wu Ming 4, il nuovo romanzo alle Ergot. «Così lavora la foundation»

Wu Ming 4, il nuovo romanzo alle Ergot. «Così lavora la foundation»
di Ennio CIOTTA
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Giovedì 17 Gennaio 2019, 10:55 - Ultimo aggiornamento: 18:00
Wu Ming è una band di narratori attiva dalla fine del ventesimo secolo. Nel 1999, col nome Luther Blissett, i futuri Wu Ming pubblicarono il loro primo romanzo, dal titolo Q (Einaudi Stile Libero). A partire dal 2000, con il nuovo nome, hanno firmato invece diversi romanzi storici (54, Manituana, Altai, L'Armata dei Sonnambuli e il recente Proletkult), alcune raccolte di racconti (Anatra all'arancia meccanica e L'invisibile ovunque) e saggi. Nel corso degli anni, poi, intorno al collettivo si è andata formando una costellazione di progetti, un collettivo di collettivi chiamato Wu Ming Foundation. E poi c'è il blog di Wu Ming, che si chiama Giap (www.wumingfoundation.com/giap). È lì che si ritrovano e si confrontano i vari componenti del collettivo, come spiega Wu Ming 4.
Nell'approccio con il collettivo Wu Ming viene in mente una frase del Subcomandante Marcos, ripetuta da Militant A in un famoso brano degli Assalti Frontali: Ci copriamo il volto per farci vedere. Cos'è la Wu Ming Foundation?
«In buona sostanza la Wu Ming Foundation è una rete di singoli e di collettivi. Una rete di persone unite dalla passione per la scrittura, la lettura e per la narrazione in senso più lato che si ritrovano intorno all'attività, in questo momento, di tre scrittori (Wu Ming 1, Wu Ming 2 e Wu Ming 4) ma con la possibilità di un'interazione molto più ampia. Il luogo intorno al quale ci si ritrova è Giap, il nostro sito Internet. Nella nostra web page non solo diamo conto del lavoro dei tre membri del collettivo ma anche di tutte le attività che possono interagire, intersecare o anche solo interessare il collettivo stesso. Intorno alla nostra attività sono nati altri collettivi come ad esempio Alpinismo Molotov, che si occupa di una rilettura critica dell'alpinismo. C'è chi nel collettivo si occupa di debunking, cioè di smontare le bufale che circolano in rete e dell'uso sconsiderato che si fa di certe voci presenti su Wikipedia. Si è costituita una vera e propria rete di riferimento. Giap in questa fase storica non è solo il sito del trio Wu Ming, ma è un qualcosa che lo eccede un bel po'».
Analizzate da sempre i processi storici e rivoluzionari. A suo avviso quanto è importante la storia per poter comprendere la cronaca?
«Non so quanto la storia sia importante per poter comprendere la cronaca, la storia è importante a prescindere, nel senso che è tutta nel presente. Facciamo un esempio: quando noi guardiamo al vicino Oriente stiamo guardando letteralmente le conseguenze della prima guerra mondiale. Un evento che noi studiamo nei libri di storia, avvenuto cento anni fa, che se non viene studiato non riusciamo a capire quello che sta accadendo oggi in Medio Oriente. Non capiremmo la lotta dei Kurdi, il conflitto arabo-israeliano e tante altre cose che iniziano proprio nel 1918 quando le potenze imperialiste vincitrici del primo conflitto mondiale si divisero il medio oriente in un certo modo. Il problema non è solo conoscerla la storia ma anche approcciarsi in un modo corretto: bisogna saper interpretare i fatti accaduti».
A suo avviso in che misura la cultura può essere realmente proletaria?
«Bisogna sfatare un potenziale equivoco: durante il primo ventennio del novecento in Russia, anni densi di rivoluzioni sociali e culturali, chi parlava di Proletkult, cioè di un movimento per la cultura proletaria, non intendeva esaltare la cultura proletaria. Può sembrare un paradosso ma è così. Il punto è che, avendo individuato nel proletariato la classe potenzialmente rivoluzionaria, a quella classe si attribuiva anche il compito di rivoluzionare la cultura. Fondare una nuova cultura che prescindesse dalla cultura di provenienza. Non si trattava di esaltare il realismo socialista proletario, come accadde negli anni successivi durante lo stalinismo. Le intenzioni di alcuni dei personaggi che si trovano anche nel nostro romanzo erano diametralmente opposte. Bisognava sviluppare la fantasia o addirittura la fantascienza per immaginare qualcosa di completamente diverso».
Vorrei chiederle come si scrive un romanzo a più mani...
«Capisco che possa sembrare un processo strano, ma bisogna partire da un presupposto: se si interpreta l'attività della scrittura come qualcosa di intimo, che appartiene ad una sfera privata, è evidente che si fa molta fatica a capire e soprattutto a praticare la scrittura collettiva. Nel momento in cui si scrive per rendere pubblica la propria scrittura allora non si sta scrivendo per se ma per qualcun altro. Allora bisogna partire da una relazione. Dal nostro punto di vista bisogna scrivere una buona storia. Una storia che dica qualcosa di vero. Per farlo si può usare anche la sfera intima e mettere se stessi nella narrazione ma con mestiere e perizia, nascondendo il se e mettendosi al servizio di una buona storia. Questo si può fare anche a più mani. Questo non esclude che i singoli membri del collettivo non possano praticare la scrittura individuale».
Cosa vedremo a Lecce nell'incontro alle Officine Culturali Ergot?
«In buona sostanza sarà una presentazione circoscritta dentro due momenti di lettura. Nel mezzo ci sarà una chiacchierata, spero più informale possibile, con il pubblico. Il senso dell'andare in giro per l'Italia per presentare il libro è proprio quello di poter incontrare i lettori e poter discutere con loro del nostro lavoro, di che cosa hanno colto e riportarne un feedback che per noi è ossigeno».
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