Omar Di Monopoli, sangue e malaffare nella Terra di Dio

Omar Di Monopoli, sangue e malaffare nella Terra di Dio
di Eraldo MARTUCCI
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Sabato 17 Giugno 2017, 22:29 - Ultimo aggiornamento: 22:39

Si definisce il “Faulkner pugliese” Omar Di Monopoli, lo scrittore nato a Bologna ma di origini pugliesi (vive attualmente a Manduria) che ha appena pubblicato con Adelphi “Nella perfida terra di Dio”, ultimo romanzo di una quadrilogia cominciata con “Uomini e cani” e proseguita poi con “Ferro e fuoco” e “La legge di Fonzi”, tutti usciti con Isbn dal 2007 al 2014.
Questo nuovo romanzo consacra il percorso di Omar Di Monopoli fuori da ogni cliché di una critica a volte poco attenta. Uno stile personale e brillante, il suo, per il quale si è parlato di “southern gothic”, di spaghetti western “alla pugliese” e di “orecchiette western”. Il tutto condito da una buona dose di umorismo e ironia corrosiva.
Di Monopoli, questa è il suo primo con Adelphi, una casa editrice che non pubblica frequentemente romanzieri italiani contemporanei, a meno che non siano di un alto livello. Un bel riconoscimento alla sua attività…
«Sicuramente è un salto quantico e qualitativo notevole, ma mi sento dire che sono figlio di un percorso di scrittura durato un decennio basato sulla ricerca costante e credo sulla qualità. Per cui lo considero ovviamente un riconoscimento che mi onora. Ci tengo però a ricordare che la precedente casa editrice nella quale sono cresciuto, la Isbn, era almeno all’inizio una sorta di Adelphi in sedicesimi. Voglio dire che era una casa editrice con una sua idea di grafica e una sua filosofia, con un catalogo vivo che in qualche maniera si rifaceva alla tradizione Adelphi. E quindi, a maggior ragione, sono felicissimo di essere approdato qui».
Parlando di questo libro, si tratta ancora di una storia di crimini, sangue e malaffare in un sud pugliese più o meno reale. Dal paese di Languore di “Uomini e cani” a quello di Torre Bardata dell’ultimo romanzo tutto è desolazione e degrado. Non c’è uno spiraglio, una via di fuga per i suoi personaggi?
«Sono uno scrittore fieramente di genere, per cui deliberatamente ricorro all’iperbole quando decido di raccontare l’oscurità, non la luce, come fanno gli uffici di promozione turistica. Alla Puglia da cartolina, che per fortuna esiste, contrappongo quella non raccontata, dell’Ilva, della sacra corona unita, della Xylella, del malaffare e della mancanza di lavoro. Lo scrittore di genere si fa allora carico, a volte in maniera cialtronesca, di raccontare senza retorica la polvere sotto il tappeto».
Una delle cose che colpisce del suo stile è la capacità di accostare il gergo e il dialetto a un italiano letterario molto ricco: un contrasto interessante ed efficace, una lingua post moderna, per osare. Come avviene il suo approccio linguistico con i personaggi e la storie?
«C’è la volontà, figlia di più di un decennio di ricerca, di mescolare un registro alto con questo basso. Per cui alla onomatopea del dialetto si affianca una ricerca lirica e anche espressionista del linguaggio narrativo. Un perenne saltare dalla durezza musicale del dialetto a questo espressionismo quasi “biblico” della descrizione del paesaggio. Sicuramente è una cifra espressiva che ha finito per connotarmi».

 

Non crede che ci sia troppo cinismo nei confronti dei personaggi da lei creati?
«Naturalmente gli stilemi del noir tendono a rimarcare i neri e i bianchi, e qui c’è molto nero. Ma ben guardare è il lettore che decide se trovare o meno uno spiraglio di speranza. In linea di massimo questo spiraglio esiste, ed è spesso fornito dai personaggi femminili. In questo romanzo ho giocato con i luoghi comuni che vedono la donna il massimo della perfidia ma anche dell’innocenza. Il personaggio di Antonia è la rappresentazione della purezza, mentre la badessa votata a satana è l’espressione più alta del male. Anche i due ragazzini, “orfani” di un padre latitante, rappresentano una nuova generazione “perduta” ma ancora con qualche possibilità di speranza».
]Ovviamente il cinema e la televisione influenzano molto la sua scrittura...
«Tantissimo. Innanzitutto io sono uno scrittore “visivo”, nel senso che provengo dal fumetto dove sceneggiavo quelli che realizzavo in maniera ciclostilata nell’ateneo bolognese. Poi ho collaborato con il cinema pugliese, da Winspeare a Pippo Mezzapesa. Attualmente siamo in fase di lavorazione con Olmi per una possibile trasposizione di “Uomini e cani”, il mio primo libro. Mi sono formato guardando tantissimo cinema e, ovviamente, leggendo molto».
E il lettore Di Monopoli cosa predilige?
«Ho sempre amato la letteratura americana degli stati del Sud, in particolare Faulkner.
Attraverso quegli autori sono poi tornato verso gli scrittori che la scuola non mi aveva insegnato ad amare, tipo Verga, Capuana, Bufalino. Paradossalmente sono dovuto andare in America per scoprire la gioia e la grandezza degli romanzieri italiani e di quelli pugliesi come Bodini».

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