Tex Willer: i 70 anni dell’eroe che restituì i sogni all’Italia ferita

Tex Willer: i 70 anni dell’eroe che restituì i sogni all’Italia ferita
di Francesco DI BELLA
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Domenica 7 Ottobre 2018, 18:49 - Ultimo aggiornamento: 16 Ottobre, 12:23
Può darsi che sia una questione di dieta. E ciò confermerebbe le parole di quell’arzilla vecchietta della provincia di Taranto che qualche tempo fa, a chi le chiedeva il segreto dei suoi splendidi 104 anni, rispose: «Mangio di tutto, e soprattutto bevo due birre al giorno». O magari c’entra l’aria pulita delle praterie del Texas, là dove l’unico inquinamento da piombo in cui si può incappare è quello provocato dalle Colt 45 o dai Winchester.
O forse - non ce ne voglia il gentil sesso - il segreto è nell’essere riuscito a evitare coinvolgimenti non tanto sentimentali quanto matrimoniali, limitando questi ultimi a un unico episodio (ma per cause di forza maggiore: la scelta era sposarsi o morire al palo della tortura) conclusosi peraltro in breve tempo in una vedovanza (non per sua volontà, sia beninteso).

Comunque sia, Tex Willer i suoi 70 anni, compiuti appena la scorsa settimana, non li dimostra proprio. Non ha un capello bianco, a differenza del pard Kit Carson che in questi sette decenni è passato da una capigliatura corvina a una testa completamente bianca (baffo e pizzetto compresi), non un filo di grasso sul giro vita, né tanto meno quei doloretti tipici dell’età che dovrebbero quantomeno rendergli un po’ più difficile salire e scendere da cavallo, magari in corsa, schivando quell’inquinamento da piombo di cui si diceva e spesso e volentieri regalandone invece una buona dose ai malcapitati avversari di turno.

Del tempo che passa, lui e i suoi compagni di avventure sembrano infischiarsene. Non così, purtroppo, le schiere dei suoi affezionati lettori, sempre numerose ma la cui età media aumenta col passare degli anni. Certo, nel corso delle tre generazioni che ha attraversato con le sue storie, il ranger capo dei Navajos di lettori ne ha conquistati di nuovi e sarebbe sbagliato affermare che nessun giovane oggi ami leggere le sue avventure, ma l’appeal che aveva tra i ragazzi nei decenni passati oggi sembra essere assai ridimensionato. Per rendersene conto si guardi, ad esempio, alle fiere fumettistiche, ritrovo di appassionati di ogni genere ed età. E soprattutto alle sezioni di Cosplay, la moda di partecipare a questi raduni mascherandosi, quanto più fedelmente possibile, come il proprio personaggio preferito. I manga, i fumetti del lontano Oriente, la fanno da padrone tra i più giovani. Seguiti a ruota da tutta la schiera dei supereroi di stampo americano, da Ironman all’Uomo Ragno, da Batman a Superman, e questi non tanto per l’incidenza dei relativi fumetti sui lettori, quanto per la diffusione veicolata dai film che negli ultimi anni hanno invaso i cinema.
Di Tex Willer e dei suoi pards, neanche una mascherina.

E’ questo il segno del tempo che è passato, dei settant’anni trascorsi da quel 30 settembre del 1948 in cui nelle edicole fece la sua timida comparsa quel giornalino piccolo, formato striscia, dal titolo “Il totem misterioso”, il primo con protagonista quel cowboy non ancora ranger, anzi pistolero e ricercato dalla legge?
Può darsi. Di certo è il segno dell’Italia che è cambiata e con essa la società, i lettori, giovani e adulti. L’Italia di quel 1948 era un Paese che ancora si leccava le ferite della guerra e che cercava di risollevarsi; i padri costituenti avevano da poco varato la Costituzione, ad aprile c’erano state le prime elezioni della neonata Repubblica.
Era forse un’Italia che cercava eroi, quella del 1948. E quel cowboy mai visto prima, inventato dall’editore Gian Luigi Bonelli e disegnato dal giovane Aurelio Galeppini, fece pian piano breccia nella fantasia e nei cuori dei lettori. D’altro canto di eroi il mondo del fumetto in quegli anni non ne aveva molti. Il fascismo aveva messo al bando tutti i personaggi che non fossero autarchici, soprattutto quelli americani, e quelli che erano riusciti a “italianizzarsi” avevano perso quasi tutto il loro smalto. Si era salvato Mickey Mouse, ma solo perché Topolino piaceva ai figli del Duce. In quella sorta di deserto, Tex Willer, cowboy del mitico West anche se di fattura italiana, rappresentò la novità, il segno che le cose erano cambiate davvero.

Eppure lo stesso Bonelli (e sua moglie Tea, vera guida della casa editrice) quelle prime strisce le mandarono in edicola abbastanza in sordina, senza crederci più di tanto. Senza immaginare che da lì a qualche decennio, grazie anche al passaggio di mano dell’editrice da Gian Luigi a suo figlio Sergio e all’arrivo nelle edicole del “Tex Gigante” (il mensile che continua a uscire ancora oggi e si appresta a festeggiare il 700° numero), quel fumetto sarebbe arrivato a vendere anche 700mila copie al mese.

Tex Willer divenne quindi l’eroe innanzitutto di quella generazione che usciva dalla guerra e cercava un riscatto. Lui era il difensore degli oppressi, sempre in lotta per il bene contro il male. Era vero che fosse ricercato all’inizio, ma solo perché aveva voluto vendicare l’uccisione del padre e poi quella del fratello, inseguendo e uccidendo i malavitosi che ne erano stati responsabili. E quando anche la legge del West lo perdonò, e anzi gli propose l’ingresso nel corpo dei Rangers dove già militava quel Kit Carson destinato a diventare suo inseparabile pard per i decenni a venire, Tex fu davvero l’eroe senza macchia e senza paura. E poco importava se per far rispettare la legge pestasse a sangue e uccidesse come mosche chiunque si allontanasse dalla retta via. Anzi, i suoi metodi “spicci” erano forse ciò che più piaceva ai lettori, che spesso - ammettiamolo - avrebbero desiderato poter essere come lui per raddrizzare un torto subito.

Difendeva la giustizia, più che la legge, Tex Willer. E difendeva i più deboli. E fu un precursore quando, sposando la bella Lilith figlia del capo indiano Navajo Freccia Rossa (il matrimonio lo salvò dalla morte, è vero, ma poi fu subito amore), divenne a sua volta capo della tribù con il nome di Aquila della Notte e difensore dei diritti dei nativi d’America in anni in cui questi erano considerati solo selvaggi da togliere di mezzo. Lilith morì quasi subito, uccisa da un’epidemia provocata da una banda di trafficanti (tutti ovviamente sterminati da Tex), ma fece in tempo a dagli un figlio, il piccolo Kit che una volta cresciuto (sotto la guida del guerriero navajo Tiger Jack) si unì alla “squadra” del genitore.

Oggi le 700mila copie raggiunte dal Tex Gigante sono un ricordo e la tiratura del mensile è ben al di sotto delle 200mila copie. L’Italia è cambiata, i lettori anche. Gli eroi che conquistano i giovani sono altri e spesso non del mondo del fumetto. I supereroi americani si sono adattati ai tempi moderni, Tex è rimasto lo stesso di sempre. I suoi 70 anni, almeno nel fisico, non li dimostra ma il tempo passato traspare ugualmente. E forse non è un caso che una delle recentissime storie pubblicate racconti l’ultima avventura del suo fedele Dinamite, il cavallo che fu suo partner sin dalle prime avventure, e si concluda con la morte del fedele destriero. E che nel libro-biografia “Tex Willer, il romanzo della mia vita” di qualche anno fa una commovente immagine ritragga il ranger e l’amico Tiger nel cimitero Navajo in cui, vicino alla tomba di Lilith, c’è anche quella di Kit Carson, l’amico di tante avventure. Per il quale, evidentemente, il tempo è passato.
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