“Un'amore con l'apostrofo”, l'autore: «una metafora grafica»

“Un'amore con l'apostrofo”, l'autore: «una metafora grafica»
di Antonio DONADIO
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Lunedì 22 Maggio 2017, 19:35

Con riferimento all’articolo “L’apostrofo rosa. Ma senza errori da matita blu” del 30 aprile 2017 pubblicato su “Nuovo quotidiano di Puglia.it” a firma di Rosario Coluccia, desidero ringraziare il ch.mo professore, docente ordinario presso l’Università del Salento e accademico della Crusca per aver citato il mio libro “Un’amore con l’apostrofo”. Mi vedo tuttavia costretto a fare alcune puntualizzazioni in merito a quanto affermato sul mio lavoro.

Il ch.mo prof. Coluccia nel suo ampio pezzo, a un certo punto scrive: “L’ortografia va rispettata, non può essere violata a piacimento, alla ricerca di effetti stilistici o per veicolare contenuti ideologici.”

E, a titolo di esempio, cita il mio libro: “Nel 2008 apparve un libro di Antonio Donadio intitolato “Un’amore con l’apostrofo”, che raccontava «una breve ma intensa storia nata, all’improvviso, leggendo Rimbaud, un “dialogo in versi” che conduce un uomo ad accettare, e forse capire, il ruolo paritario e libero della sua giovane compagna fino ad imporre ad un amore un femminile apostrofo» (così recitava la pubblicità).”

Il ch.mo prof. non fa quindi altro che trascrivere la nota informativa della schermata relativa al mio libro di un qualsiasi sito di e-commerce (mondadoristore, lafeltrinelli, ibs, …). C’è da ritenere che non abbia nemmeno avuto il libro fra le mani, in quanto già in apertura si specifica che “ … come un apostrofo inopportuno mette in crisi il corretto scrivere, così una giovane donna nella sua inaspettata spontaneità e determinazione, spiazza il suo maturo amante: un amore (senza apostrofo) al femminile”.

“Un’amore con l’apostrofo” vuole essere, insomma, la traslitterazione poetica di fatti realmente accaduti, che accidentalmente finisce per dare testimonianza di trasformazioni socio-culturali in atto negli ultimi decenni. Senza intenzione alcuna di “veicolare contenuti ideologici”.

Dunque, l’inserimento dell’apostrofo “galeotto” (esclusivamente nel titolo e ben evidenziato in copertina dal colore rosso per sottolinearne l’uso improprio) altro non è che una licenza poetica grammaticale (ben presente la lezione di tanti autorevoli esponenti del nostro panorama letterario), una “metafora grafica” sorta spontaneamente a condensare in un unico segno il tema centrale del libro. D’altronde “se il poeta, massimo il lirico, non è ardito nelle metafore, e teme l'insolito, sarà anche privo del nuovo".(G. Leopardi)

Ma il ch.mo prof. continua, e, cogliendo di sorpresa tanto me quanto l’editore di riferimento, informa che: “Non molti hanno letto quel libro, ...” Mi chiedo come faccia a conoscere il computo dei miei lettori! E aggiunge: “ e forse hanno fatto bene”. Grazie per il “forse”, vero atto d’indulgenza!

Avrei accettato serenamente una critica negativa, qualora ci fosse stata, ma non avrei potuto far finta di nulla di fronte alla gratuità di quanto scritto, lesiva della mia dignità di docente e di poeta, e soprattutto di uomo, considerando, per giunta, le conclusive insinuazioni circa la natura “a tesi “del mio lavoro: (“L’apostrofo non può avere un valore politico, le forzature sono inutili”).

Non conosco personalmente il ch. mo prof. Rosario Coluccia. La frequentazione con insigni linguisti ha, tuttavia, caratterizzato tanto i miei studi universitari quanto il mio cammino professionale: da Salvatore Battaglia sotto la cui guida mi sono laureato (prima dei canonici quattro anni) in Lettere e Filosofia presso l’Università di Napoli con una tesi su André Martinet, a Carlo Passerini Tosi, cui ebbi l’onore di subentrare sulla cattedra di Italiano e Latino al Liceo Lussana di Bergamo, godendo della sua personale stima. Nell’ambito più specificatamente letterario, le mie conoscenze hanno spaziato da Luciano Anceschi, a Carlo Bo, Maria Luisa Spaziani, Giorgio Barberi Squarotti, fino al grande Mario Luzi, che frequentai assiduamente per circa quindici anni (sua la nota introduttiva a un mio libro di versi), e oggi proseguono con Valerio Magrelli, Alessandro Fo, Maurizio Cucchi, Giuseppe Conte, Milo De Angelis, Plinio Perilli, Dante Maffia, (sua una recensione proprio su “Un amore con l’apostrofo”). Ricordo ancora una salace battuta di Umberto Eco, il quale, all’indomani dell’uscita de "Il nome della rosa”, facendomi omaggio di alcuni suoi disegni, mi disse” Spero che qualcuno, limitandosi a leggere soltanto il titolo, non lo prenda per un libro di botanica!”.

La risposta di Rosario Coluccia:

Non intendevo sminuire gli studi e le frequentazioni di Antonio Donadio.
Né, tantomeno, offendere la sua dignità di docente, di poeta e di uomo (ci
mancherebbe!). Semplicemente, invitavo i lettori di «Nuovo Quotidiano» a non
violare le regole dell’ortografia, alla ricerca di effetti particolari.





 

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