Verri, l’uomo-rivista tra parole e illusioni

Verri, l’uomo-rivista tra parole e illusioni
di Rossano ASTREMO
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Martedì 9 Gennaio 2018, 19:07
Uomo-rivista. Così veniva chiamato dal compianto professore Ennio Bonea Antonio Verri, lo scrittore e animatore della scena letteraria salentina, morto 25 anni fa, nel maggio del 1993, in un funesto incidente stradale, all’età di 44 anni. L’appellativo di Bonea, unico accademico ad aver dato credito alle capacità letterarie ed intellettuali di Verri, si soffermava in particolar modo su un aspetto della sua poliedrica attività, quella di organizzatore di innumerevoli progetti di periodici, da “Caffè Greco” al “Pensionante de’ Saraceni”, passando per l’esperienza del “Quotidiano dei poeti”, giornale stampato a Maglie e diffuso, attraverso una serie di collaboratori nei capoluoghi di regione, nelle più importanti città italiane.
A 25 anni di distanza dalla sua scomparsa, però, l’appellativo di uomo-rivista sembra essere limitante per lo scrittore di Caprarica di Lecce. A questo ruolo di organizzatore di progetti editoriali, di operatore culturale instancabile, a questa funzione centrale nel tessere relazioni e collaborazioni, partendo dalla “periferia infinita” salentina per dialogare con poeti, romanzieri e artisti di ogni parte d’Europa, tra gli anni ’70 e gli anni ’90, Verri affiancò la produzione di alcuni piccoli e preziosi libri, tutti pubblicati presso editori locali, “Il pane sotto la neve” (1983), “Il naviglio innocente” (1985), “La Betissa” (1987), “I trofei della città di Guisnes” (1988), “Il naviglio Innocente” (1990) e “Bucherer l’orologiaio” (postumo – 1995). E se i primi due libri possono essere letti come omaggio rispettivamente ai salentini Vittorio Bodini e Antonio De Ferrariis, detto il Galateo, l’opera in versi di “La Betissa” rappresenta il primo libro di Verri in cui le sue qualità stilistiche e la sua visione del mondo sembrano essere giunti in una fase di maturità. Fino ad arrivare al 1988, quando Verri pubblicò il suo primo romanzo, “I trofei della città di Guisnes”, edito da Il Laboratorio di Parabita, nella collana di prosa e poesia Il Quadrato, diretta da Antonio Errico.
Ecco, questo 2018 non è solo l’anno in cui si ricordano i 25 anni dalla scomparsa di Verri, ma anche l’anno in cui si celebra il trentennale dall’uscita del suo libro più ambizioso e riuscito. Questo libro è commercialmente irreperibile. Nel 2005 una sconosciuta casa editrice calabrese dal nome Abramo, grazie all’intercessione dello scrittore Mario Desiati, appassionato lettore di Verri, diede vita a una ristampa del romanzo, che non ebbe alcuna distribuzione, con una copertina imbarazzante e numerosi refusi al suo interno. Di certo Verri, maniaco cultore dei dettagli, non avrebbe gradito un simile trattamento per il libro che gli richiese più fatica e dedizione nella scrittura. Il protagonista è un alter ego dello scrittore, chiamato Stefan, che guarda con terrore e disincanto un mondo in continua espansione, come se assistesse all’esplosione di una supernova. Al canto dello scrittore c’è un controcanto composto da misteriose rane, rappresentazione simbolica delle parole, rinchiuse in un recinto, in attesa di fuggire.
Verri, in quegli anni della sua vita aveva l’ambizione di creare un libro fatto di parole meravigliose, splendenti, in continuo accumulo, attraverso un’azione di lavoro sul linguaggio mai sconclusionata, fortemente sentita. Il culmine dell’operazione sulla lingua si ha con questo romanzo, in cui l’esplosione irrefrenabile della sua creatività dispiega tutto il suo potenziale. Siamo dinanzi a un oggetto narrativo che può rappresentare a tutti gli effetti un metaromanzo, un romanzo che interroga le logiche del farsi e del costruirsi di un mondo possibile, con motivi che si presentano, scompaiono e si ripresentano.
Scrisse il professore Nicola Carducci sull’Annuario del Liceo Ginnasio “Giuseppe Palmieri” del 1997: “La fabula ne I trofei è quasi inesistente, offre qualche filo che si fatica ad afferrare: è l’avventura di un io, di uno scrivitore, che tra mille raggiri e assalti e agguati, e sempre ritrovandosi al punto di partenza come un cavaliere antico si affanna, con sovrano distacco, nel tentativo di dare una forma, sia pure cangiante, all’informe esistenza, di supporre un ordine, anche soltanto verbale, al caos della città degli uomini, di rinvenire un senso se pur illusorio, nel garbuglio del sordo e monotono succedersi delle opere e dei giorni”.
Un romanzo sperimentale, forse il testo più autobiografico dello scrittore di Caprarica. Possono le parole consegnare all’autore il senso profondo dell’esistenza? O queste parole sono solo illusioni? E se così fosse, potrebbe vivere l’autore senza queste illusioni fatte di suoni impresse su carta? Un’opera complessa e meritoria, uno degli esiti migliori del cosiddetto postmodernismo italiano, affiancabile ad opere dei contemporanei Calvino, Eco, Tabucchi e Consolo, eppure del tutto sconosciuta al grande pubblico.
Che questo duplice anniversario non passi invano. Che i 25 anni dalla morte e i 30 anni dalla pubblicazione del suo romanzo più ambizioso e riuscito possano collocare l’opera di Antonio Verri nella posizione che più merita, tra i più grandi del Novecento salentino, tra i più dotati scrittori del postermodernismo letterario della penisola. Un invito sentito all’Università di Lecce ad occuparsi in maniera articolata e approfondita della sua opera. A partire da quest’anno, con seminari e letture delle sue opere. L’uomo-rivista merita più riconoscenza dalla sua terra.
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