Salvemini: «In aula e vediamo chi ci sta oppure mi dimetto io»

Salvemini: «In aula e vediamo chi ci sta oppure mi dimetto io»
di Francesca SOZZO
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Lunedì 19 Febbraio 2018, 18:12 - Ultimo aggiornamento: 20 Febbraio, 18:15

«La sentenza del Consiglio di Stato non mette in discussione la mia elezione». Quindi «vado avanti». E chi vuole «subito il voto» non deve fare altro che «chiedere ai consiglieri eletti con le liste di Mauro Giliberti di presentare le firme per lo scioglimento entro il 24 febbraio». A mandarlo a casa potrebbero essere i numeri, dunque, o la nuova maggioranza qualora decidesse “compatta” di dimettersi. Non arretra di un passo il sindaco Carlo Salvemini, va avanti e chiederà sostegno in aula, alla luce del sole, senza inciuci e senza compromessi sul programma: «Non è modificabile, perché votato dai cittadini».
Si riparte da qui. I giudici di Palazzo Spada hanno dato ragione al centrodestra: il premio di maggioranza va a loro, il che significa che il sindaco dovrà fare i conti con i voti in aula. È il caso dell’anatra zoppa, insomma: riuscire a governare con una maggioranza politica che non appartiene alla propria coalizione. D’altronde il Consiglio di Stato lo ha detto chiaramente: prevale il principio della rappresentatività rispetto a quella della governabilità.
Quello che accadrà adesso lo ha spiegato il sindaco in un Open Space stracolmo di consiglieri, assessori, amici, sostenitori e cittadini leccesi: una volta concluse le operazioni tecniche che spettano al prefetto Claudio Palomba - nominato dai giudici del Consiglio di Stato commissario ad acta - per la “sostituzione” dei consiglieri in aula «sarà convocato il Consiglio comunale per la presa d’atto, in modo da ripristinare la legittimità dell’organo». A quel punto il pallino passerà nelle mani dei consiglieri di centrodestra. I 17 consiglieri che rappresenteranno la nuova maggioranza di Palazzo Carafa infatti hanno in mano il “potere” di mandare a casa il primo cittadino e la sua giunta. In due modi. Il primo: «I consiglieri eletti con le liste di Mauro Giliberti disporranno dei numeri per decidere lo scioglimento del consiglio comunale. È un valutazione politica che rientra nella loro piena ed esclusiva disponibilità». Una scelta che secondo Salvemini sarebbe coerente con quanto fatto fino ad oggi impugnando la decisione della commissione elettorale. Il primo cittadino ha infatti ricordato che a firmare i ricorsi non sono stati i soli consiglieri “esclusi”, ma anche l’ex sindaco Paolo Perrone, il candidato sindaco Mauro Giliberti e il deputato Roberto Marti. Un’operazione, secondo Salvemini, volta più a «indebolire, ostacolare, interrompere l’azione del sindaco e della sua coalizione» piuttosto che a difendere il diritto di quei consiglieri esclusi. Entro il 24 febbraio dunque i consiglieri, tutti e 17, in maniera compatta potranno, se lo vorranno, presentarsi davanti ad un notaio e presentare le proprie dimissioni mandando a casa Salvemini.
Oppure - e questa è la seconda strada - far mancare il voto al sindaco in sede di consiglio durante l’approvazione del Bilancio.
Con una consapevolezza: Salvemini andrà avanti senza perdere di vista quel «patto siglato con gli elettori il 25 giugno, quando il 54.76% di loro votarono me, la coalizione siglata con Alessandro Delli Noci, la nostra agenda del cambiamento», ha ricordato.
Per questa ragione il primo cittadino, che sta lavorando al Bilancio di previsione già da tempo e che dovrebbe approdare in aula presumibilmente il 12 o 13 marzo e in giunta questa settimana, testerà le possibili condizioni per continuare a governare. «Avvertiamo il dovere di verificare se esistono le condizioni per una prosecuzione di questa consiliatura - ha detto -. Lì dove si manifestano le volontà dei rappresentanti dei cittadini, il Consiglio comunale. Lo farò in occasione del passaggio politico più importante - ha proseguito - per un’amministrazione locale, la presentazione del Bilancio di previsione. Lo strumento che assegna risorse e definisce le priorità delle linee strategiche di mandato. Chiederemo alle forze politiche un voto per governare il cambiamento, che è l’impegno assunto con i leccesi. Alla luce del sole, in modo trasparente cosi come avvenuto in occasione dell’accordo siglato con Alessandro Delli Noci tra primo e secondo turno elettorale. Non quindi un voto “per non andare a casa”. Un voto “per il governo di Lecce”».
«Chi non intende fare propria questa direzione di marcia - ha chiarito Salvemini - non deve fare altro che esprimersi apertamente: o votando contro o decidendo di non votare. In quel caso o mancheranno i numeri per l’approvazione del Bilancio e quindi il consiglio si scioglie automaticamente. O mancheranno i numeri oltre quelli delle liste che mi hanno sostenuto, evidenziando l’impossibilità di andare avanti. In quel caso presenterò le mie dimissioni, irrevocabili».
Cosa rischia la città? Il commissariamento fino alla primavera del 2019. Superato il 24 febbraio, infatti, «l’interruzione anticipata della consiliatura porterà al commissariamento della città fino alla primavera del 2019. Le mie eventuali dimissioni, seppur formalizzate immediatamente, diverrebbero irrevocabili solo tra 20 giorni, oltre la data limite del 24 febbraio, l’unica che consente di votare subito».
«Lavoreremo finché ce lo permetteranno - ha ribadito anche il vicesindaco Alessandro Delli Noci -, senza compromessi, senza inciuci, senza paura, alla luce del sole, proprio come è nata l’alleanza tra me e Carlo». E ha aggiunto: «Il nostro programma non è modificabile perché votato dai cittadini. È implementabile, ma non modificabile». Niente inciuci, dunque, ora si tratta solo di capire se questa città «vuole essere governata». «E siamo certi - ha aggiunto - che più di qualche forza politica voglia discutere su questo tipo di città che io e Carlo abbiamo in mente».




Perrone: “Esito inevitabile, il pallino è nelle mani di Salvemini”

«Alla fine è andata come tutti sapevano che sarebbe andata, a fronte di una legge che sul punto è molto chiara e di un verdetto “innovativo” da parte della commissione elettorale». Il consigliere comunale Paolo Perrone commenta la sentenza del Consiglio di Stato che ha confermato le decisioni del Tar di Lecce, annullando definitivamente il verbale dell'Ufficio elettorale che aveva assegnato il premio di maggioranza al sindaco Salvemini.
«La vicenda, da un lato, evidenzia una volta di più la debolezza della politica o di una parte di essa, che ha strumentalizzato la situazione facendo intendere all'opinione pubblica che questa legge fosse una legge dalle diverse interpretazioni. Insomma, eludendo surrettiziamente un esito inevitabile. L'onestà intellettuale di Carlo Salvemini avrebbe dovuto suggerirgli di dichiarare ai leccesi sin dal primo giorno di aver ricevuto un mandato a metà. Senza dubbio sindaco di Lecce, ma con una composizione del Consiglio comunale tale da obbligarlo a governare senza poter ignorare il programma del centrodestra. Si è trattato comunque di un colpo inferto alla regolare vita democratica della istituzione comunale leccese, visto che è rimasto in piedi per dieci mesi un Consiglio illegittimo e visto che è servito così tanto tempo per avere giustizia. Cosa sarebbe successo a parti invertite? Salvemini avrebbe accettato il verdetto o avrebbe inscenato il funerale sfilando con la bara della democrazia per le vie della città? È chiaro - conclude Paolo Perrone - che si apre adesso una fase delicata per l'ente e per la città. Il pallino è nelle mani di Carlo Salvemini che dovrà rispettare questo verdetto da un punto di vista politico e amministrativo oppure trarre altre conseguenze».
 

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