Dal carcere duro ai fornelli, la storia dello chef che sognava il mare

Dal carcere duro ai fornelli, la storia dello chef che sognava il mare
di Valeria BLANCO
3 Minuti di Lettura
Mercoledì 10 Novembre 2021, 18:05 - Ultimo aggiornamento: 19:14

Le sue ricette hanno un senso più profondo, che va al di là di quello dato da abbinamenti e sapori. Come la lasagna Portofino - besciamella, pesto e gamberetti - ideata in cella, come innocente evasione e come risposta a quella guardia che gli disse che tanto, lui, il mare non lo avrebbe visto mai più. Lui è Fulvio Rizzo, lo chef (ma lui preferisce essere chiamato cuoco) che il suo debito con la giustizia lo ha pagato con 21 anni di carcere, in parte scontati in regime di 41 bis. E che ora, a dieci anni dalla scarcerazione, racconta la sua storia nel libro Diventare chef (nonostante tutto), il cui ricavato sarà in parte devoluto ad Antigone e che è stato presentato nei giorni scorsi ad Agrogepaciok a Lecce.

Da giovane promessa del calcio agli anni bui del crimine

Tra un risotto «con la tartare di gambero, per ricordarmi che non devo più tornare indietro», e un bicchiere di vino, Fulvio racconta la sua storia. L'infanzia come giovane promessa del calcio, l'amicizia con Antonio Corvino, che ha comprato - e ancora possiede - il suo cartellino. Poi il buio, gli anni dei crimini, la condanna, il carcere. Ventuno lunghissimi anni, in cui Fulvio non è mai stato fermo: ci sono state le umiliazioni, ma anche le amicizie, il diploma di ragioneria, la laurea in Sociologia.

Poi l'incontro, fatidico, con la cucina: «Dopo una protesta per il cibo scadente, il direttore del carcere propose a me di mettere su una squadra. Lo feci, la decisione che mi ha cambiato la vita».

I primi anni dietro i fornelli in regime di semilibertà

C'è la voglia di riscatto dietro questo percorso, ma anche un pizzico di fortuna. Gli occhi di Fulvio diventano lucidi quando parla del socio e fratello, Gigi Perrone. Insieme si imbarcano nell'avventura di Semiserio e Fulvio, che fino a quel momento aveva cucinato anche costruendosi da sé gli arnesi da cucina, inizia ad apprendere i segreti della professione. I primi anni al suo ristorante, sono quelli della semilibertà: l'auto era sempre parcheggiata in modo da garantirgli una rapida fuga, perché alle 21 doveva rientrare a Borgo San Nicola. Ma sono anche gli anni dei concorsi di cucina e dei riconoscimenti. Gli anni del riscatto, gli anni di una nuova vita. «Ho scoperto - conclude Fulvio - di essere circondato da una marea di affetto. A partire da quello di mia moglie, da cui ho divorziato e che ora è la mia fidanzata e di una figlia, Gioara, che negli anni del carcere potevo vedere per sole tre ore a settimana e che ho ritrovato fuori, già donna e imprenditrice».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

© RIPRODUZIONE RISERVATA