«Don Tonino, compreso più dagli umili che da certi ambienti clericali e politici»

Al centro, don Tonino Bello. Primo a sinistra, Renato Brucoli
Al centro, don Tonino Bello. Primo a sinistra, Renato Brucoli
di Maria Claudia MINERVA
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Martedì 17 Aprile 2018, 15:15
Per volere di don Tonino è stato per anni il direttore del settimanale della diocesi di Molfetta “Luce e vita” (ancora in stampa), una delle testate religiose più antiche della Puglia. Renato Brucoli, è un editore e giornalista che attualmente vive e lavora a Terlizzi, sua città natale. Attivo in ambito ecclesiale, Brucoli ha collaborato con il compianto vescovo don Tonino occupandosi anche del settore emergenze della Caritas diocesana negli anni dei primi esodi dall’Albania.
Come ha conosciuto don Tonino?
«Quando è arrivato a Molfetta: era il 1982. Io orbitavo nella diocesi e così ci conoscemmo, lo apprezzai subito moltissimo, ero molto interessato alle sue proposte. Nacque un’amicizia e nel 1987, quando l’allora direttore del settimanale, che era un sacerdote, rassegnò le sue dimissioni, don Tonino, cavalcando l’onda del sinodo dei vescovi sul laicato, decise di scegliere me, che ero un laico e già collaboravo con la redazione».
Poi la nominò anche responsabile del settore emergenze della Caritas.
«Sì quello nel 1990, anche se continuavo ancora a dirigere il settimanale diocesano. Fu poco prima dell’esodo degli albanesi verso le coste pugliesi. Nel 1991 cominciarono i primi sbarchi consistenti e don Tonino volle aiutare i migranti che nel marzo 1991 approdarono contestualmente nel porto di Molfetta e in quello di Brindisi. Don Tonino si mosse subito per accogliere le 125 persone sbarcate a Molfetta, mettendo loro a disposizione la sede del Seminario regionale, poi siccome in Tv giravano le immagini degli altri migranti sbarcati a Brindisi e rimasti all’addiaccio, si mise in contatto con questura e prefettura chiedendo di poterli ospitare. Ma per concretizzare questa seconda accoglienza mi inviò presso gli istituti religiosi della diocesi per chiedere ai superiori di mettere a disposizione i conventi vuoti. Così riuscimmo ad accoglierne un altro centinaio. Un gesto quello di don Tonino replicato da papa Francesco 22 anni dopo, nel 2013, quando rivolgendosi ai responsabili del Centro Assalli di Roma ha invitato i superiori ad ospitare le famiglie di migranti».
Negli anni della sua direzione, il settimanale diocesano si occupò molto del sociale. Ricorda qualche aneddoto in particolare?
«Un episodio che voglio ricordare proprio in riferimento a questa impronta sociale del giornale, riguarda il fenomeno degli sfratti, che cominciò nel 1985 ma andò avanti a lungo, almeno per tre anni. Don Tonino ne ospitò alcune, ma le famiglie erano tante e allora lui cercò di trovare soluzioni alternative. Io in qualità di direttore del settimanale decisi di scrivere del fenomeno proponendogli di intervistare i sindaci delle città interessate al problema, ma lui scartò subito questa idea. Allora gliene proposi un’altra: cioè usare i numeri diffusi dal censimento, in cui veniva alla luce la disponibilità di tante case vuote, ma anche questa fu bocciata, perché mi disse che le cifre non avrebbero parlato al cuore della gente».
Come andò a finire?
«Che mi portò con la sua Fiat 500 sulla strada provinciale Molfetta-Terlizzi: arrivammo in un oliveto dove alloggiava una famiglia, che aveva trasferito nella campagna, peraltro non di sua proprietà, il mobilio. Allora lui mi disse testuali parole: “Io rientro, tu invece resta, vai da loro e intervistali”. Quindi aggiunse: “Trattieniti con loro tutta la notte, chiedi di ospitarti, solo così capirai tutto sulla condizione degli sfrattati e scriverai il più bel pezzo giornalistico della tua vita”. Don Tonino non voleva un giornale scritto alla scrivania, ma un giornale di prossimità e condivisione».
Secondo lei, don Tonino è stato compreso o vissuto come una figura scomoda?
«È stato compreso dai semplici, dagli umili, dai giovani, che costituivano la componente più ampia del popolo di Dio: lo hanno percepito come loro compagno di strada. Invece, scarsamente compreso dalla gerarchia e da certi ambienti clericali incapaci di metabolizzare le principali istanze del Concilio Vaticano II. Va aggiunto che gli è stata ostile anche buona parte del potere politico, specie la componente interessata al commercio delle armi, alla militarizzazione del territorio, alla politica di aggressione verso altri popoli. Ve la ricordate la “Guerra del Golfo”? Il ceto politico che l’ha giustificata ha visto in don Tonino Bello una persona estremamente scomoda e finanche pericolosa».
Cosa ricorda degli ultimi momenti della vita del vescovo?
«Qualche giorno prima di morire mi fece chiamare, era un incontro di congedo, ma mi chiese di portargli mio figlio Francesco. E ricordo anche quello che riportò in fondo al suo testamento, sottoscritto il 18 aprile 1993, che firmò con scrittura fortemente tremante, in cui oltre a disporre dei pochi beni che aveva, scrisse: “È il giorno del Signore (riferendosi all’ora della sua morte ormai vicina) ed è bellissimo”. Gesti e parole di un uomo che per la gente è già Santo».


 
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