Martina: a Lecce e a Taranto
il modello vincente di Milano
Squadra plurale e Pd centrale

Martina: a Lecce e a Taranto il modello vincente di Milano Squadra plurale e Pd centrale
di Francesco G.GIOFFREDI
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Venerdì 23 Giugno 2017, 06:25 - Ultimo aggiornamento: 12:30
Porte spalancate al civismo, per proiettare il Pd oltre il perimetro del centrosinistra in assetto classico. Soprattutto sui territori e nelle amministrazioni comunali, dove il consenso si disperde in rivoli, micro-fratture e guerre di piccolo o medio cabotaggio. Maurizio Martina rintraccia allora la ricetta e cita un esempio paradigmatico: Milano, la vittoria un anno fa di Giuseppe Sala e la coalizione che allarga l’inquadratura e include. È quello lo schema - nel capoluogo meneghino come a Lecce e a Taranto - secondo il ministro delle Politiche agricole e vicesegretario nazionale del Pd. Due mesi fa ha riconquistato il partito in ticket con il segretario Matteo Renzi, ora Martina e tutta la squadra di segreteria schierata dal leader si misurano con una sfida cruciale, ma insidiosa: radicare ancora di più il Pd, rinvigorirlo e corazzarlo. A cominciare dai Comuni: «Più si è aperti e inclusivi e più arrivano energie». Un seme che può far fruttare anche altro, in ottica 2018: un progetto di governo per il Paese, «con il Pd cuore della proposta», una prospettiva «da condividere sia con Calenda che con Pisapia». Ma a patto che il collante siano «cooperazione e rispetto, e non competizione e alterità».
Ministro Martina, la ricetta sembra semplice, ma non sempre è scontata: alle amministrative unito il centrosinistra vince, o quantomeno gioca a viso aperto e fino alla fine le partite. È una strada che potrà diventare maestra, anche in prospettiva futura?
«Ora è importantissimo che domenica in ogni città al ballottaggio, anche in Puglia, i nostri elettori vadano in tanti a votare i sindaci civici di centrosinistra che ovunque propongono progetto aperti, inclusivi e unitari. Tutti insieme possiamo dare buone amministrazioni alle nostre città con persone capaci di ascoltare e decidere, vivendo quotidianamente i bisogni dei cittadini. Un sindaco deve fare prima di tutto questo».
In tutto il Paese e anche in Puglia sembra sia tornato in voga lo schema “centrodestra contro centrosinistra”: solo un dato contingente? E lei si iscrive al partito di chi decreta il declino dei Cinque stelle?
«Io penso che sia la destra che i Cinque Stelle rimarranno nostri competitori a tutti gli effetti».
In Puglia i ballottaggi cruciali sono a Lecce e a Taranto. Nel capoluogo salentino il centrosinistra ha fatto uno sforzo ulteriore: ha allargato i confini, per il secondo turno, alla coalizione di civiche e di centro, piazzatasi terza due settimane fa e guidata da un ex assessore di centrodestra. Verrebbe da dire: questo e altro, per rompere la ventennale egemonia della destra a Lecce? Oppure allargare al civismo e a nuove esperienze è la nuova prospettiva del Pd?
«Allargare al civismo è la nostra prospettiva, è fondamentale. Lo è stato a Milano l’anno scorso, può essere decisivo a Lecce intorno alla candidatura di Carlo Salvemini come in tante altre città. Più si è aperti e inclusivi, più arrivano energie per rinnovare e amministrare insieme».
Taranto, la città del caos Ilva, sembrava una partita persa a priori dal Pd. Invece il centrosinistra di Melucci è lì. Come mai le polemiche sul siderurgico, sull’ambiente e sulla salute non hanno influito sul voto, come invece si pronosticava? Eppure, per esempio con Emiliano, sui temi dell’Ilva s’è consumata quasi una guerra fratricida in casa Pd.
«Io penso che conti sempre tantissimo la credibilità delle persone che si mettono direttamente in gioco sul territorio. E anche a Taranto si è fatto un grande lavoro che ora va completato. Con passione, umiltà, spirito di squadra, capacità di rinnovamento».
 
Il governo dei territori è una delle strade privilegiate per radicare una forza politica. La nuova segreteria Pd promette però di rafforzare ancora di più il legame con i territori: quali iniziative intendete portare avanti? E c’è un deficit di classe dirigente pd, soprattutto al Sud?

«Noi dobbiamo sempre fare meglio, ovunque. Al Nord come al Sud. Non è facile oggi impegnarsi nelle istituzioni locali e in politica. Le persone che lo fanno a livello locale vanno davvero ringraziate per l’impegno. Dobbiamo essere ovunque una squadra di persone tenaci e umili. Con valori condivisi e responsabilità da assolvere insieme verso le comunità che rappresentiamo».
Le comunali, come detto, tirano direttamente in ballo il tema delle alleanze. In tal senso c’è grande fibrillazione alla sinistra del Pd: l’opera “federativa” di Pisapia può creare un interlocutore unico, o comunque principale, per il Pd?
«Io sono per guardare con apertura e attenzione al lavoro che sta facendo Pisapia. Per tutti deve valere una regola semplice: se lavoriamo insieme, tra noi deve esserci cooperazione e rispetto, e non competizione e alterità. Serve unità sul progetto per l’Italia e sugli impegni verso gli italiani prima ancora delle formule elettorali. Ricordiamoci sempre che i nostri avversari stanno altrove, a destra».
E del ruolo “vinavil” di Prodi che pensa? La affascina un ritorno alla dinamica ulivista? Oppure è un modello usurato e oggi inapplicabile?
«La figura di Prodi è sempre emblematica per tutti noi. Io lo ringrazio per il lavoro generoso di ascolto e consiglio che sta dando a tutti i protagonisti del centrosinistra di oggi».
E il centro? Da Alfano a Calenda, passando per Udc ed ex montiani, c’è un mondo che potrebbe far da sé o guardare a Berlusconi. Riuscirete a tenere insieme queste realtà con Pisapia? Con quale collante?
«Guardi, sforziamoci tutti di andare oltre gli elenchi di nomi e cognomi. Conta il progetto. Contano le scelte. Si sta insieme se si condivide una responsabilità unitaria verso gli italiani. Io penso che certamente sia con Calenda che con Pisapia possiamo condividere questa prospettiva. Trovo che si possa costruire una squadra forte. Nella pluralità e nell’unità. Con il Pd cuore della proposta. Ma conta il progetto prima di qualsiasi nome».
Difficile però progettare senza una legge elettorale: ci avete provato, è andata male. E ora? Qual è lo schema su cui lavorare? Vorrebbe una legge che eventualmente esalti la “vocazione maggioritaria” del Pd, o un sistema che possa favorire le coalizioni?
«Ho sempre pensato che serva garantire il più possibile la democrazia dell’alternanza, anche se oggi non è certo semplice. Vedremo, di certo le condizioni per ritentare oggi una discussione sulla legge elettorale sono difficilissime. I Cinque Stelle - come si è visto - al dunque non hanno retto e hanno preso tutti in giro».
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