Sangue infetto al Fazzi: condannati Asl e Ministero

Sangue infetto al Fazzi: condannati Asl e Ministero
di Erasmo MARINAZZO
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Sabato 18 Febbraio 2017, 17:36 - Ultimo aggiornamento: 19 Febbraio, 16:59
A 30 anni da quella trasfusione in cui contrasse l’epatite C, è arrivata la sentenza che ha condannato il Ministero della Salute e la Asl di Lecce: non avrebbero effettuati i controlli per garantire una trasfusione sterile ed esente da possibili contagi.
La storia è quella di una donna che oggi ha 65 anni che nel 2001 si sottopose ad una serie di accertamenti medici che la misero difronte ad una realtà drammatica: epatite C. La richiesta di risarcimento al Ministero della Salute presentata giugno dello stesso anno, rimasta senza esito, e poi la citazione in giudizio nel 2006 con gli avvocati Francesca Ria e Giorgio Giannaccari, hanno dato vita al processo conclusosi nei giorni scorsi.
Il 6 febbraio il giudice della prima sezione civile, Rossana Giannaccari, ha stabilito la liquidazione di 40mila euro per le conseguenze subite dalla donna in questi anni sul piano psicologico e nella vita personale. Perché - ha ritenuto il giudice - la consulenza tecnica d’ufficio (ctu) sulla anamnesi ha collocato il contagio nella trasfusione di sangue effettuata nell’ottobre del 1987 nell’ospedale “Vito Fazzi”.
Non è stato individuata alcuna altra modalità attraverso cui si sarebbe fatto strada il virus. Ed il processo ha messo in rilievo la mancata applicazione, all’epoca dei fatti, del protocollo di controlli per garantire una trasfusione sterile.
 
Dice questo la sentenza nella parte in cui spiega il nesso di causalità: “Il giudicante - condividendo le conclusioni del ctu limitatamente al profilo del causale dell’evento e rilevando che le conoscenze mediche ed i dati scientifici del tempo in cui venne operata la trasfusione, in quanto successivi al 1978, erano tali da consentire l’adozione di opportune misure di controllo e di prevenzione. Volte ad impedire il contagio. In applicazione del principio del “più probabile che non”, ritiene sussistente il nesso di causalità tra l’infezione virale di tipo C contratta dall’attrice e la condotta colposa del Ministero della Salute. per aver violato l’obbligo di vigilanza e controllo in materia di raccolta e distribuzione di sangue umano per uso terapeutico”. Infine la condanna dell’Asl riguarda i mancati controlli per stabilire se quel sangue fosse sterile e potesse essere trasfuso.
L’ascolto dei medici che hanno seguito questa donna dal 2001 fino ad oggi ha stabilito che quella patologia non abbia avuto causato invalidità permanenti. Condizionamenti sulla vita quotidiana sì, eccome. Da qui la decisione di accogliere solo parzialmente la richiesta di 260mila euro per danni patrimoniali e non patrimoniali.
Quali condizionamenti? Il timore di contagiare amici e parenti, innanzitutto. Una dieta e terapie per non affaticare il fegato. Disturbi del sonno ed uno stato ansioso generale.
Alla fine la donna ha ottenuto giustizia: ad undici anni dalla citazione in giudizio ed a 30 da quella trasfusione che le ha cambiato la vita.
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