Morto “Scaramau”, fu ritenuto tra i 100 latitanti più pericolosi d'Italia

L'arresto
L'arresto
di Claudio TADICINI
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Giovedì 29 Settembre 2016, 09:01 - Ultimo aggiornamento: 21:09

Muore a 48 anni uno dei presunti boss della Sacra Corona Unita degli ultimi decenni. Salvatore Caramuscio, di Surbo, conosciuto anche col nome di “Scaramau”, si è spento martedì pomeriggio in un letto dell'ospedale di Chieti, dove si trovava ricoverato dal giorno precedente a causa di alcuni gravi problemi di salute. Nei mesi antecedenti al suo arresto, il suo nome comparve anche nella lista dei cento latitanti più pericolosi d'Italia.
Ristretto in regime di 41bis – il cosiddetto “carcere duro” - nel penitenziario de L'Aquila, dove stava scontando una condanna definitiva all'ergastolo per omicidio ed associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, Caramuscio è stato stroncato da problemi cardiaci, che nella mattinata di lunedì avevano reso necessario il suo trasporto d'urgenza dal carcere abruzzese al policlinico “Santissima Annunziata” del comune teatino.
Giunto cosciente al pronto soccorso, “Scaramau” era stato quindi sottoposto ad un doppio intervento chirurgico, prima di essere ricoverato – con prognosi riservata – nel reparto di Terapia intensiva. Nelle ore successive, l'aggravamento del suo quadro clinico e la morte, sopraggiunta nel pomeriggio di martedì.

 

Ritenuto dagli investigatori una figura di spicco della criminalità locale, Salvatore Caramuscio stava scontando il carcere a vita perché ritenuto uno dei due autori dell'omicidio del 54enne Antonio Fiorentino, freddato la mattina del 6 marzo 2003 da cinque colpi calibro 9, all'interno del bar “Papaja”, a Lecce, di proprietà della stessa vittima.
Arrestato per quel delitto, il surbino rimase ristretto fino al 10 settembre 2008, quando ottenne la libertà per decorrenza dei termini di custodia cautelare. Il trasferimento in carcere fu ripristinato il giorno 30 dello stesso mese, ma di Caramuscio si erano già perse le tracce ormai da giorni. Quello stesso 10 settembre, infatti, omise di presentarsi in questura come gli era stato prescritto dal giudice del Tribunale di Sorveglianza de L'Aquila, rendendosi uccel di bosco.
La fuga di “Scaramau” terminò dopo oltre sei mesi di latitanza, che gli valsero – come detto - la presenza nell'elenco dei cento latitanti più pericolosi d'Italia. Il suo nome fu depennato all'alba dell'8 marzo 2009, quando venne stanato dalla squadra mobile in un appartamento del borgo antico di Cassano Murge, in provincia di Bari, durante un blitz condotto dalla squadra mobile di Lecce.
Caramuscio, pur recluso, come rivelarono le indagini, continuò a tenere le redini del sodalizio di cui era ritenuto il massimo esponente, potendo contare sull'operatività dei suoi uomini fidati per dirigere i traffici illeciti nel Nord Salento. Il suo nome, infatti, compariva anche nelle due inchieste della Direzione distrettuale antimafia di Lecce – denominate “Remetior” e “Remetior II” - in cui l'ergastolano surbino era ritenuto una figura chiave. Il vertice di quella che gli inquirenti definirono la banda, sgominata in due blitz dalla polizia, nel 2010 e nel 2013. Dal primo processo ne uscì con una condanna ad oltre vent'anni, mentre nel secondo fu assolto anche in Appello.
Avvicinatosi da giovane al clan di Giovanni De Tommasi, “Scaramau” era stato condannato anche per l'affiliazione al clan di Filippo Cerfeda, nonostante tra i due non scorresse buon sangue. Oggi pomeriggio, presso la parrocchia di Santa Lucia, a Surbo, saranno celebrati i funerali.
 

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