Il racconto choc di un pakistano a Lecce: l’Isis voleva assoldarmi

Il racconto choc di un pakistano a Lecce: l’Isis voleva assoldarmi
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Mercoledì 18 Gennaio 2017, 07:10 - Ultimo aggiornamento: 12:29
Vive nel Salento, in attesa che venga accolta la sua domanda di asilo politico, il profugo pakistano che ha raccontato di aver ricevuto la proposta di entrare a far parte della schiera dei “lupi solitari” dell’Isis. Il 26enne intervistato nell’edizione di ieri de “Il Giornale” si è liberato dell’incubo della morte: avrebbe pagato con la vita, e lo stesso conto sarebbe stato presentato ai suoi familiari, se non avesse accettato di fare “l’inviato in Italia” per i terroristi islamici con indosso una cintura di esplosivo da innescare in una non meglio indicata città.
«È scappato prima dalla guerra e poi dalla polizia libica», spiega Cristian Benvenuto, presidente dell’associazione nazionale Italia-Pakistan. «In queste ore si è isolato e si è chiuso nel silenzio perché teme ancora ritorsioni. Bisogna comprenderlo, dopo quello che ha passato, anche se l’accoglienza ricevuta in Italia gli ha fatto voltare pagina».
La storia di questo giovane musulmano che chiameremo anche noi Aftab, nome di fantasia utilizzato da “Il Giornale”, assomiglia a quelle delle migliaia di extracomunitari arrivati negli ultimi anni sulle coste salentine con i mezzi più disparati: dalle barche a vela, alle piccole imbarcazioni di diporto fino alla nave che due anni fa attraccò a Gallipoli. Il Salento crocevia degli sbarchi ormai da oltre 25 anni.
Anche Aftab è stato “merce” delle organizzazioni che sfruttano la guerra, la miseria e la speranza di una vita dignitosa per pretendere il pagamento di migliaia di dollari per lo sbarco nel continente della speranza. Il viaggio di Aftab è passato però nei territori dove imperversano ancora le guerre fra fazioni e dove l’Isis mantiene le roccaforti: un anno e mezzo fa toccò le coste della cittadina libica di Zawiya, al confine con la Tunisia, il barcone dove trovò posto con qualche centinaia di disperati. Dopo un viaggio di mesi, finì recluso in un centro di detenzione gestito dai trafficanti di uomini insieme ai militari ed alla polizia libica. Ed è qui che - ha raccontato nell’intervista - le divise armate di manganello imposero loro di diventare terroristi. Di farsi esplodere in Italia per colpire l’Occidente. Nel nome di una interpretazione violenta del Corano, non condivisa da gran parte degli islamici. Una invocazione delle stragi, una violenza verbale accompagnata da pestaggi a colpi di bastone, ma soprattutto da un ricatto davanti al quale pochi uomini saprebbero dire di no: se si fosse rifiutato avrebbero pagato con la vita anche i suoi familiari giunti insieme a lui in Libia. Se avesse accettato, invece, ai parenti sarebbero andati 30mila dollari: una cifra che in Pakistan non avrebbe guadagnato in tutta la vita. Una cifra per fare presa lì dove non avrebbe magari attecchito l’ideologia del terrorismo. Racconta Aftab nell’intervista: «Volevo fuggire dalla Libia. Non sono andato io a cercarli né avevo bisogno di loro. Mi hanno contattato durante la prigionia a Zawiya e mi hanno detto che se avessi voluto guadagnare molti soldi c’era questa possibilità». Il ricatto era la prima arma: «Nessuno di noi, prima di arrivare a Zawiya, conosceva la situazione in questi campi. Solo quando ci hanno rinchiuso nello stanzone abbiamo capito. Non ci davano cibo né acqua. Avevamo paura di morire. Chi di noi gridava di non voler più partire veniva pestato».
Gli jihadisti portavano le divise dei militari e della polizia, ha raccontato Aftab. «Se non sei un occidentale lì la tua vita non vale nulla», sostiene Benvenuto. «Li hanno rinchiusi in uno stanzone per sottoporli a torture fisiche e psicologiche».
La liberazione da quell’incubo ha il nome di un’isola diventata ormai la frontiera dell’Europa per chi fugge dai mercanti di esseri umani. E dai terroristi: Lampedusa. Sbarcato con gli altri nell’isola fra il Nord Africa e la Sicilia, Aftab ha trovato il sostegno di tutta la macchina d’accoglienza per mettere migliaia di chilometri fra sè e l’Isis.
Ed i suoi familiari? Aftab ha raccontato che l’indottrinamento al chiuso di quello stanzone è durato per mesi, ma una volta imbarcati è stata lasciata loro la scelta di diventare o meno uno dei “lupi solitari” dell’Isis. «Chi toglie la vita agli innocenti non è un uomo», spiega oggi nell’intervista Aftab.
Nel Salento ci è arrivato attraverso i canali regolari dell’Immigrazione. Ed attende asilo politico. «Con quel momento drammatico della sua vita ha tagliato ormai tutti i ponti», racconta il presidente dell’associazione Italia-Pakistan. «Vive come gli altri in un rapporto di collaborazione ed integrazione con il nuovo mondo occidentale. È stata comunque un’esperienza che lo ha segnato: quando parla di quel periodo la sua voce si trasforma. È intrisa di terrore».
È una storia diversa dalle altre, quella di Aftab. Da quelle dei tanti extracomunitari passati dal Salento per arrivare in Europa. O da quella di Salah Abdeslam, lo jihadista della strage di Parigi del 13 novembre del 2015, passato per due volte dal porto di Bari. Lui sì ha aderito all’Isis. Aftab invece ha resistito alle minacce, alle percosse ed alla seduzione dei 30mila dollari.
 
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