Salento, boom di centenari: sono 623, ma vivono di più le donne

Salento, boom di centenari: sono 623, ma vivono di più le donne
di Maurizio TARANTINO
5 Minuti di Lettura
Domenica 3 Dicembre 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 4 Dicembre, 08:52

È il Nord Salento la patria dei centenari locali. Secondo lo studio dell’Uoc Epidemiologia e Statistica della Asl di Lecce, al 20 novembre scorso, gli anziani in provincia di Lecce che hanno superato i cent’anni sono 623. E a superare il secolo di vita sono soprattutto le donne: 407 a fronte di 216 uomini. 

L'aspettativa di vita

«L’aumento dell’aspettativa di vita - spiega il professor Mariano Longo, ordinario di Sociologia Generale all’UniSalento - comincia a verificarsi in tutto il mondo a partire dalla seconda metà dell’Ottocento con il miglioramento delle condizioni igieniche in particolare e poi con le grandi scoperte della medicina legate alla vaccinazione e alla cura verso le infezioni portate dai germi: insomma tutta una serie di acquisizioni di carattere scientifico che si sono combinate anche col miglioramento della qualità della vita».
A guidare la classifica dei comuni, c’è ovviamente Lecce che conta 194 ultracentenari (119 femmine e 75 maschi), ma la vera sorpresa arriva da Squinzano con 33 anziani ultracentenari (21 femmine e 12 maschi), seguita da San Cesario con 22 (12 donne e 10 uomini), quindi Galatina con 18 (11 donne e 7 maschi), poi ancora un comune del Nord Salento, cioè Carmiano, con 15 (9 donne e 6 femmine) lo stesso numero di Nardò (10 femmine e 5 maschi). 
La cintura del capoluogo continua ad essere presente con Lequile che ha 13 centenari (8 donne e 5 maschi), così come Trepuzzi, una delle poche realtà in cui gli uomini superano il gentil sesso (7 a 6). Cosa che accade anche a Otranto (3 a 3), Calimera (3 a 1), Campi Salentina (6 a 3) e a Gallipoli (5 a 4). Quindi Surbo con 12 super nonni (6 a pari merito) e San Donato con 11 (7 femmine e 4 maschi). E ancora Veglie sempre con 11 (7 femmine e 4 maschi) e Galatone pure con lo stesso numero (8 femmine e 3 maschi). A scendere c’è Novoli con 10 (7 donne e 3 uomini).
A quota 8 c’è Lizzanello (solo femmine), Monteroni (5 femmine e 3 maschi), San Pietro in Lama (4 a 4), Taviano, primo comune del Basso Salento (5 donne e 3 uomini), Maglie (6 donne e 2 uomini) e Diso (4 a 4 femmine).
Insomma una sorpresa per chi pensava che il Capo di Leuca, distante dalla frenesia del capoluogo e ancora legato a tradizioni e abitudini ormai superate in altri borghi, dovesse registrare numeri importanti nell’aspettativa di vita.
I comuni del nord Salento si confermano punto di riferimento per chi raggiunge e supera il secolo di vita anche in termini millesimali: se Lecce con i suoi quasi 200 centenari si ferma al 2,04 per mille, Squinzano con i suoi 33 arriva al 2,34 per mille, mentre San Cesario è in testa con il 2,67 per mille.

In provincia di Lecce, i 623 centenari rappresentano lo 0,8 per mille della popolazione complessiva che al 1° gennaio 2023 risulta pari a 770.078 abitanti di cui 370.439 maschi e 399.639 femmine.

Il rapporto Bes 2023 dell'Istat

Secondo il rapporto Bes 2023 dell’Istat, i pugliesi nel 2022 avevano una speranza di vita alla nascita di 82,4 anni: in testa Bari con 83 anni, seguita da Bat (82,8 anni), Lecce (82,6) Taranto e Brindisi (82,3 anni) e da Foggia, fanalino di coda (81,9 anni). Nel 2022, la speranza di vita alla nascita in Puglia è sostanzialmente in linea con il valore nazionale (82,4 anni) e più alto della media del Mezzogiorno (81,7 anni). La regione, spiega il report dell’Istat, non ha recuperato il calo dovuto alla pandemia da Covid-19, e si attesta a 0,8 anni in meno rispetto al 2019. 
«L’invecchiamento della popolazione - spiega ancora il professor Longo - è un trend che è cresciuto nella civiltà occidentale con il progresso e che si scontra però con la costante denatalità che rischia di incidere profondamente sul futuro dei territori. In passato è emerso che il numero dei pensionati in Puglia è superiore agli occupati». Una trasformazione demografica che sarà anche sociale ed economica: «Ci sarà un cambiamento radicale della struttura della società quantomeno per quanto riguarda la ripartizione in fasce d’età della popolazione. Un invecchiamento generalizzato della popolazione comporta anche tutta una serie di problemi di allocazione delle risorse perché è chiaro che ci saranno fatalmente meno risorse da investire». Le politiche messe in atto dai governi non sono state sufficienti, in questi anni, ad invertire il trend.
«L’Italia e in particolare il Mezzogiorno - spiega Longo - è privo per esempio di nidi che non siano privati, i posti in quelli pubblici sono ridottissimi e abbiamo supplito con quello che viene definito tecnicamente welfare familiare, cioè l’aiuto dei nonni e dei parenti. Molto è dipeso dall’ubriacatura neoliberista che negli ultimi 30-40 anni ha immaginato che tutto potesse essere flessibile e quindi si procrastina la scelta della paternità o della maternità e la si rimanda il più possibile perché le aspettative nei confronti della qualità anche della vita del figlio diventano molto più alte. Paradossalmente l’affezione alla famiglia che è un tratto tipico della cultura italiana ha giocato a sfavore della natalità, perché verso quei figli spesso si vuole dare tutto ma per farlo occorre poterselo permettere. E questo è stato disincentivante».

© RIPRODUZIONE RISERVATA