Strage dei vicini a Cursi: fissato il processo

Strage dei vicini a Cursi: fissato il processo
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Sabato 9 Febbraio 2019, 19:56
Strage di Cursi, si va verso il processo. Fissata l'udienza: il 21 febbraio il manovale Roberto Pappadà, 57 anni, del posto, comparirà davanti ai giudici della Corte d'Assise (presidente Pietro Baffa) per difendersi dall'accusa di triplice omicidio e di tentato omicidio, aggravati dalla premeditazione. Il caso è quello che ha sconvolto il Salento la sera del 28 settembre dell'anno scorso: Pappadà si armò di una pistola Smith & Wesson 357 Magnum ed ammazzò i vicini di casa Andrea Marti, 36 anni; Francesco Marti, 63 anni, padre di Andrea; e Maria Assunta Quarta, 52 anni, insegnante, zia di Andrea. «La madre mi è scappata», ricordò Pappadà durante l'interrogatorio di convalida dell'arresto dei carabinieri. Ossia Fernanda Quarta, 60 anni: ferita, riuscì a fuggire ed intanto arrivò una pattuglia dei carabinieri del Nucleo operativo radiomobile della Compagnia di Maglie che convinse Pappadà a riporre la pistola.
Per quell'omicidio scatenato dalla follia esplosa per problemi di parcheggio - sostenne questo Pappadà nel corso dell'interrogatorio - è stato chiesto il giudizio immediato dal pubblico ministero della Procura di Lecce titolare dell'inchiesta, Donatina Buffelli. Perché sono stati raccolti tutti gli elementi per sostenere l'accusa in giudizio: le consulenze sull'arma e sulle cause della morte delle tre vittime, le ammissioni di Pappadà e l'ascolto di alcuni testimoni.
Il giudice Cazzella ha condiviso la richiesta ed ha fissato l'udienza in Corte d'Assise. Risultano parti offese e potranno, dunque, costituirsi parti civili quattro parenti delle vittime, assistite dagli avvocati Arcangelo Corvaglia e Marino Giausa. Intanto l'avvocato difensore Nicola Leo sta valutando se affrontare il processo con il dibattimento in aula o chiedere il rito abbreviato. Anche a fronte della confessione di Pappadà.
In quella confessione al giudice raccontò di essere ossessionato dai vicini: sostenne che non solo occupavano l'ingresso di casa con le loro macchine, impedendo il passaggio di un parente disabile. Ma anche che avrebbero lasciato appositamente i sacchetti della spazzatura davanti alla sua abitazione. Circostanze recepite in parte dal capo di imputazione. Anche per questa ossessione Pappadà non diede peso alla presenza di due vicini di casa usciti per strada allarmati dai colpi di arma da fuoco e dalle urla. E risparmiò per questo la vita sia alla fidanzata di Andrea Marti che al marito della zia.
Dure, all'epoca, le valutazioni del giudice della convalida: «Per ciò che attiene alla richiesta di misura della custodia in carcere, sussistono le esigenze cautelari sottese al pericolo di fuga (attesa l'estrema gravità dei fatti e la prospettazione della condanna all'ergastolo). E al pericolo di reiterazione della condotta, tenuto conto delle modalità dell'azione, delle inquietanti spiegazioni fornite dall'indagato, della sua totale indifferenza verso le vittime. Unitamente alla convinzione di avere fatto la cosa giusta ed al rammarico di non avere eliminato anche Fernanda Quarta (fortunosamente scappata alla giusta esecuzione). Tutti stati d'animo sintomatici di un'indole violenta, priva di scrupoli e di qualsiasi rispetto per la vita umana che ben potrebbe sfociare, ove non disposta la custodia in carcere, in altri atti lesivi dell'incolumità personale».
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