Il detenuto morì in ospedale: «La sua patologia fu trascurata»

Il detenuto morì in ospedale: «La sua patologia fu trascurata»
di Lino CAMPICELLI
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Martedì 28 Marzo 2017, 05:35 - Ultimo aggiornamento: 29 Marzo, 03:15
Nulla di fatto: la morte di Antonio Cesario Fiordiso, originario di San Cesario (Lecce), deceduto a 31 anni dell’anno scorso nell’ospedale di Taranto dove fu trasferito dal carcere tarantino in condizioni gravissime, resta priva di certezze. E senza certezze restano le presunte responsabilità originariamente individuate nell’inchiesta aperta dal pm inquirente di Taranto dottoressa Maria Grazia Anastasia, che a suo tempo conferì l’incarico di fare luce sulla morte del detenuto al professor Alberto Tortorella e al dottor Salvatore Silvio Colonna.
I due consulenti, che effettuarono tutti i rilievi possibili sul corpo di Fiordiso attraverso la riesumazione del corpo del giovane salentino, anche in adesione alle indicazioni del gup jonico dottor Pompeo Carriere, hanno depositato il loro responso.
Le loro conclusioni fanno ipotizzare una scarsa, e inidonea, valutazione della patologia che portò alla morte del detenuto. Ma questa è e resta una mera ipotesi su cui gli esperti non hanno apposto sigili di certezza.
Secondo i consulenti, vi è «impossibilità di pervenire a una diagnosi eziologica della sindrome rabdiomiolitica (legata cioè a disturbi gastrointestinali patiti dal 31enne), ragionevolmente primum movens degli eventi patologici che hanno condotto a morte Fiordiso: il che contribuisce a rendere ancor più problematico il giudizio controfattuale relativo alla vicenda in questione».
 
Secondo i consulenti del pm «ciò non consente, per concludere, di sostenere con ragionevole certezza - o con quell’elevato grado di probabilità richiesto nell’ambito giuridico che ci occupa - che un ricovero più tempestivo (uno, due giorni prima) avrebbe garantito al paziente di sopravvivere».
«È necessario aggiungere», hanno scritto in definitiva i due consulenti, «che le pessime condizioni di conservazione del cadavere a causa del tempo trascorso dal decesso impediscono un giudizio di certezza circa l’eventuale presenza di lesioni traumatiche superficiali. D’altra parte, l’esame della documentazione clinica ospedaliera e i rilievi necroscopici (completati dalla Tc eseguita sul cadavere esumato) escludono lesioni traumatiche dei segmenti ossei, cranio encefaliche e dei visceri toracici e addomimali».
In sostanza, i due esperti incaricati dalla dottoressa Anastasia hanno escluso che Fiordiso sia stato oggetto di un pesante “pestaggio” in carcere, ma hanno lasciato dubbi sul fatto che la sua patologia sia stata tempestivamente individuata e sottoposta alle cure del caso.
D’altra parte, a pagina 50 della consulenza, i due esperti hanno scritto che «Fiordiso è giunto in ospedale in condizioni critiche: mancano una attendibile documentazione medica e dati di laboratorio e strumentali dei giorni precedenti il ricovero».
Tuttavia, proprio nelle pagine conclusive della consulenza c’è una sorta di “accusa”, sia pur generica, lanciata dai due medici: «L’entità del danno documentato all’arrivo in ospedale a carico dei vari organi - e in particolare della funzione renale - era tale da far ritenere che il quadro clinico, rapidamente ingravescente, fosse già presente nei giorni precedenti. E che esso non sia stato valutato e trattato nei tempi e nei modi prescritti dalle regole dell’arte».
Tuttavia, come già evidenziato, neanche sul punto i due medici hanno manifestato certezze. La loro, infatti, è da ritenere una ipotesi, pur plausibile e attendibile.
Alla luce di queste indicazioni, la parola spetta ora alla dottoressa Anastasia, che dovrà decidere se proseguire nelle indagini oppure chiedere l’archiviazione del procedimento.
Nell’ambito di questo procedimento, la dottoressa Nastasia ha già indagato sei medici e due psichiatri (assistiti dagli avvocati Luigi Palmieri, Antonio Raffo, Alessandro Scapati e Fausto Soggia) della struttura carceraria tarantina che, in vari periodi, si occuparono della posizione di Fiordiso.
Lo snodo dell’inchiesta, a cui diede linfa vitale il gip dottor Pompeo Carriere che consigliò la riesumazione del cadavere di Fiordiso, si collega con l’opposizione avanzata a suo tempo dai legali della famiglia del detenuto morto, avvocati Pantaleo Cannoletta, Claudio Petrone e Paolo Vinci.
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