Il terrorista dell'Isis nel 2014 fermato come Amri. I pm: «Preparava atti violenti»

Il terrorista dell'Isis nel 2014 fermato come Amri. I pm: «Preparava atti violenti»
di Sara Menafra
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Mercoledì 11 Gennaio 2017, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 12 Gennaio, 10:47

Quell’inseguimento nella notte della periferia romana di due anni e mezzo fa, con un uomo armato che abbandona l’auto e si da alla fuga e i poliziotti che lo inseguono per giorni aveva fatto paura, perché nella macchina c’erano armi e a casa sua, una roulotte parcheggiata in un camping, una bandiera dell’Isis. Ora, però, è il gip che ha ordinato per Saber Hmdi l’arresto in carcere per terrorismo internazionale a parlare di quella notte e a sollevare dubbi: «Le circostanze del controllo del 9 novembre 2014 fanno ritenere che Hmdi avesse in programma il compimento di reati violenti e particolarmente significativo della sua potenzialità criminale è l’acclarato possesso di una pistola carica rubata pochi giorni prima», oltre a un passamontagna, una bomboletta urticante e guanti di lattice.

La stessa notte, si scopre ora leggendo gli atti, la polizia ha fermato altri due presunti terroristi islamici, uno dei quali ritenuto il reclutatore e leader di Saber Hmdi: «Bouafia Hichem alle 3.00 veniva controllato dai Carabinieri quale passeggero di vettura condotta da Ben El Haj Khalil che veniva denunziato per il rinvenimento nel bagagliaio di due coltelli (uno a serramanico e uno da macellaio) due passamontagna e guanti di lattice».

«I SIMBOLI ISIS A ROMA»
La perquisizione nel container in cui vive con la moglie, italiana convertita ma non radicalizzata, porta a scoprire oltre ad una bandiera dell’Isis, due passaporti cinesi e 33 telefonini, accumolo, scrive il gip Cinzia Parasporo «non spiegabile come mera attività di ricettazione». Nel computer in particolare, c’è una foto considerata preoccupante: «Raffigura il cruscotto di una vettura Volkswagen e lo specchietto centrale al quale è attaccato un gagliardetto dell’Isis, la fotografia sembra essere stata scattata in un contesto urbano della Capitale, nella vettura poi fermata per il controllo».

LA RETE DI ISLAMICI
Sulla base di quei documenti, gli investigatori della Digos coordinati dall’aggiunto Francesco Caporale e dal pm Marcello Monteleone ricostruiscono la vita di un giovane tunisino, nato nel 1984, la cui radicalizzazione, racconta la moglie agli uomini della Digos inizia «durante la sua prima detenzione presso il carcere di Velletri nel 2011, dal quale era uscito profondamente cambiato». Da allora, il marito «andava presso le moschee di Villa Ada e di Centocelle e frequentava due individui». Uno dei due, il marocchino Abdelghani Rchouki, era con lui in macchina a novembre del 2014 e dopo la rissa con i poliziotti è ancora latitante. L’altro, molto probabilmente Hichem Bouafia, è quello che avrebbe regalato a Hmdi la bandiera dell’Isis. Il 24 gennaio 2015, il ministero degli Interni l’ha considerato “radicalizzato” espellendolo verso la Tunisia per motivi di sicurezza nazionale.

L’analisi del computer di Saber permette di risalire anche ad altri contatti con persone che differenti indagini hanno portato a considerare radicalizzati, aspiranti terroristi o combattenti: uno è Mohamed Hamdi, tunisino classe ‘88, che «secondo fonti informativa aveva più volte manifestato il desiderio di recarsi in Siria per combattere con l’Isis». Entrambi erano «in contatto con un jihadista presente in siria». L’altro contatto di Saber è Jacopo Ben Salem, sospettato di aver ospitato Hmdi durante la sua fuga.

Una volta in carcere, Hmdi diventa ancora più radicale. Prova a fare proseliti, guida la preghiera, informa i compagni di cella «di essere stato in Libia e Turchia per addestrarsi militarmente» e «di aver imparato in tali viaggi a costruire una bomba artigianale» e spiega a qualcuno come fare. Non tutti i compagni di cella lo seguono, anzi molti denunciano i suoi comportamenti, chiedono di essere trasferiti. Altri, invece, sui quali sono in corso ulteriori accertamenti, lo seguono, si fanno crescere la barba, credono alla promessa che l’Isis gli darà «5mila dollari al mese». Riscontri che potrebbero essere incrociati anche con le indagini sul terrorista di Berlino Anis Amri, che ha vissuto in provincia di Latina fino ad un anno e mezzo fa. Su quella vicenda la procura ha appena ricevuto una nuova informativa.

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