Roma, parla una vittima dell'untore: «Avrei voluto vederlo in carcere per tutta la vita»

Roma, parla una vittima dell'untore: «Avrei voluto vederlo in carcere per tutta la vita»
di Adelaide Pierucci
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Domenica 29 Ottobre 2017, 00:14 - Ultimo aggiornamento: 10:09

ROMA Dopo la sentenza che ha condannato l’untore di Hiv Valentino Talluto a 24 anni di carcere, le 27 ragazze infettate si asciugano le lacrime per la vittoria incassata e guardano al futuro. Ora è più grigio che nero, per dirla con le parole di una di loro. Come Ines, la chiameremo così: 28 anni, da 8 sieropositiva. Una ragazza che si immaginava mamma giovane, e che è stata costretta a rinunciare a sesso e amore, a fuggire dal lavoro per sottoporsi alle analisi e alle visite, o per ritirare le terapie. Sempre senza far trapelare nulla, altrimenti, chissà, si rischia pure il licenziamento.

Contenta, se così si può dire? 
«Speravo nell’ergastolo, ma la gioia è stata incontenibile comunque. Il giorno della sentenza è stato un subbuglio di emozioni. Ma poi ha vinto la felicità. Ora lui è dentro. Noi lo abbiamo fermato». 

Noi chi? 
«Noi ex, noi le contagiate. Noi che ci siamo ritrovate la vita decisa da un uomo che ci ha ingannato. Siamo diventate amiche. Dentro e fuori dal processo ci siamo confortate, confrontate, aiutate, ma non è stato facile. Una vita rivoluzionata... Da un istante all’altro. Ricordo tutti i dettagli: era l’estate 2015, andai a donare il sangue. Mi convocarono con pochi preamboli: lei è sieropositiva. Risposi al medico che sarebbe stato meglio un tumore, fulmineo. Rimasi un mese chiusa a casa a piangere». 

Il primo pensiero è andato a Valentino? 
«Ho pensato al fidanzato successivo. Con Valentino avevo avuto solo una storia di pochi mesi, appena finito il liceo. Ma il mio ex non era positivo. Una settimana dopo che ho cominciato la terapia sono stata ricoverata allo Spallanzani con una febbre da cavallo. Ho rischiato di cadere in Aids. Ero stravolta. Lì sentii dell’arresto di un certo Valentino T. che aveva contagiato delle ragazze. Avevo talmente un bel ricordo di lui che non ricollegai. Era gentile e premuroso, uno all’antica. Che ti veniva a prendere a casa in macchina. Ti dava il buongiorno e la buonanotte. Ma uscita dall’ospedale mi chiamarono dalla procura: “Lei conosce Valentino Talluto?”. E mi è ricrollato il mondo addosso». 

Come è andata la vostra storia? 
«Lo lasciai io. Era perbene, ma stava sempre incollato ai social. Avevo sospetti di intrallazzi, anche se lui negava. Tre o quattro mesi di storia, tra chiacchiere web, corteggiamento e poche intimità a casa di lui». 

Disse, mentendo, che era allergico al lattice?
«Sapeva che prendevo la pillola per una questione di salute. Con me credo non abbia sprecato neanche la bugia. Ha taciuto sulla sieropositività, a lui nota già da anni. E basta: mi ha rubato la vita. Mi ha ingannato».

Cosa prova per lui? 
«Rabbia. Lo vedo come un mostro. Non ha chiesto nemmeno scusa. Ha deciso la mia vita, trenta vite. Io piango ogni volta che ritiro la terapia in ospedale. Non mi rassegno. Prima mi davo anche delle colpe, sbagliavo. Valentino poteva non parlare della sieropositività ma prendere delle precauzioni. Un inganno senza danno. Invece ha scelto di fare del male». 

Ora? 
«Per fortuna non siamo sole. Nella battaglia legale ci aiuta l’avvocato Irma Conti. Ci ha seguito in diciassette. Allo Spallanzani ci assistono medici in gamba. Io ho pure due psicologi. Quello del servizio sanitario non mi basta. Ne pago uno privatamente. Rinuncio a un rossetto in più e a un paio di scarpe di marca e mi faccio aiutare. L’ergastolo l’ha dato a me, ogni giorno sono costretta a pensare a Valentino». 
 

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