Un anno passato tra populismi, bufale e misteri

di Stefano CRISTANTE
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Sabato 31 Dicembre 2016, 10:20 - Ultimo aggiornamento: 10:25
Tutto sommato l’orbita del nostro pianeta intorno al sole è stata confermata anche per quest’anno, quindi, almeno dal punto di vista astronomico, tutto va bene. I giorni, imbottiti in cappotti pesanti che non impediscono a due italiani su tre di smadonnare per il clima rigido, hanno già cominciato a regalare minuti di luce sottraendoli al buio. Insomma, non ci possiamo lamentare: il moto di rivoluzione che ha portato la nostra terra di fronte al sole nello stesso punto dell’anno scorso è in via di completamento. Siamo un pianeta fortunato perché da noi c’è la vita e perché la nostra specie sapiens lo domina incontrastata. Tutto regolare.

Se però dalla dimensione astrale passiamo a quella intimamente planetaria, l’equilibrio è messo in discussione: produciamo inquinando e senza riuscire a riciclare del tutto i nostri scarti, dunque avveleniamo aria, acqua e suoli. Solo da tre decenni (1986: Chernobyl) l’ambiente è diventato una priorità dichiarata dei paesi industrializzati: i danni per l’uso violento e insostenibile delle risorse naturali sono immensi, ma l’unanimità tra gli scienziati sulla certezza del pericolo ecologico sta spingendo la comunità internazionale a correre ai ripari. Quindi: situazione delicata, ma consapevolezza della necessità di invertire le scelte energetiche e industriali.
Eppure il 2016 è stato anche e soprattutto l’anno di Trump. Il nuovo presidente degli Stati Uniti ha dichiarato senza ritrosie che non crede all’imminenza del pericolo ecologico, e che anzi ritiene l’ossessione ambientale una specie di complotto per frenare la produttività industriale americana, favorendo in particolare il competitore cinese.
Questo aspetto del programma politico di Trump è stato discusso assai meno delle sue proposte violente sull’immigrazione e del suo zelo nel garantire il possesso delle armi da fuoco a qualsiasi americano, ma avrà il suo spazio nei prossimi anni. Quello che è appena trascorso, oltre alla sua elezione, ci ha consegnato un’altra grande sorpresa politica: l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea. Entrambi gli eventi (Brexit + elezione Trump) sono stati considerati punti di svolta, inversione di processi dati quasi per scontati: l’unificazione europea e le dinamiche bipartitiche classiche negli Usa. L’ombrello sotto cui si tenta l’interpretazione di questi fenomeni è stato chiamato “populismo”, riesumando un termine dalle nebbie dell’Ottocento russo e dalle pampas argentine di Juan Peròn. Più volte abbiamo scritto dell’inconsistenza teorica di questa pista: l’uso decisamente negativo del termine mette in uno stesso fascio chi vuole restaurare la sovranità nazionale, chi appoggia politiche economiche protezionistiche, chi invoca il manganello verso ogni migrante, chi vuole un ridimensionamento della democrazia rappresentativa a vantaggio di una democrazia diretta, chi è convinto che l’unica ideologia disponibile sia quella del capo monocratico, chi odia ogni tipo di casta, chi ritiene che la Bolivia di Evo Morales e persino l’Ecuador di Rafael Correa rappresentino esperimenti di populismo innovativo, e così via.

C’è poi il populismo dall’alto (l’antica demagogia, cioè il governo assecondando le pulsioni del popolo), e il populismo dal basso (movimenti anti-casta, erroneamente definiti “anti-politici” per lunghe e inutili stagioni interpretative). Lo stesso “renzismo”, duramente sconfitto al referendum costituzionale del 4 dicembre, è considerato da alcuni osservatori una variante del populismo dall’alto. Il 2017 porterà elezioni in Francia e Germania, e i destini dell’Europa saranno seriamente in questione. Può darsi che l’anno nuovo porti alla riscoperta di altri termini antichi: forse sarà il caso del poco noto “oclocrazia”, il cui primo utilizzo si deve a Polibio, per descrivere un passaggio traumatico dalla democrazia alla demagogia in cui si agitano moltitudini ondivaghe e aggressive.

Abbarbicata al campo politico è anche la seconda espressione del 2016, cioè post-verità. Populismo e post-verità non sono affatto in contrapposizione: entrambi sono termini ombrello, ed entrambi hanno però contorni indefiniti. Post-verità non è (solo) menzogna: è la presentazione continua e tambureggiante di punti di vista estremi confezionati con procedure pseudo-scientifiche, spacciati come dati di fatto oggettivi e amplificati dai leader politici e di opinione. La scoperta sociologica più interessante del 2016 (arriva da molte indagini condotte sia sui social network sia sui gruppi sociali) è che molti individui, pur messi di fronte all’infondatezza più totale di notizie e teorie da loro apprezzate, continuano a ritenerle vere o a pensare che in esse ci sia almeno un fondo di verità. Il 2016 è stato infatti l’anno delle bufale on line, che sono state parte della strategia comunicativa con cui lo staff di Trump è riuscito a far breccia in larga parte dell’elettorato americano.

Nell’immaginario collettivo, il 2016 è stato il classico disgraziato anno bisestile, la cui metafora sono i lutti per tanti grandi artisti che sono scomparsi. Si sta creando una piccola nevrosi collettiva, un altro frammento di post-verità: davvero c’è un’ecatombe di star in corso? Più sensatamente, le generazioni artistiche nate sul finire della seconda guerra mondiale sono entrate nella terza età, e tra di loro ci sono molti di coloro che ci hanno accompagnato durante l’adolescenza e la giovinezza. Sono con noi “da sempre”, quasi degli amici o dei conoscenti mediali.
È per questo che ci mancano particolarmente. Eppure quello che manca di più, a me e a tanti altri, è un ragazzo che abbiamo conosciuto solo dopo la sua morte, avvenuta in Egitto per mano di assassini che lo hanno torturato per giorni in modo ripugnante prima di buttarlo, sfigurato, in un fosso. Giulio Regeni era un ricercatore universitario di nemmeno trent’anni che faceva con coraggio il suo lavoro sul campo. La sua università (Cambridge) si è comportata in modo grave e sbagliato, negando collaborazione alle indagini sull’omicidio, richieste invece a gran voce dalle università italiane. I depistaggi del governo tirannico del generale Al-Sisi continuano ad ogni nuova dichiarazione: non vi è soluzione accettabile da parte italiana, perché ogni nuova pseudo-verità serve a coprire l’unica verità, indicibile anche se universalmente nota, e cioè che quello di Giulio sia stato un martirio politico. A lui e ai suoi coraggiosi genitori va il pensiero finale del 2016.
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