La Costituzione resti l'unico faro del governo

di Michele DI SCHIENA
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Mercoledì 4 Gennaio 2017, 16:36
Lo si può chiamare come si vuole (di responsabilità, di emergenza, di scopo, del Presidente) ma non vi è dubbio che il governo Gentiloni è allo stato il solo possibile dal momento che un ricorso alle urne in tempi assai brevi, giustamente escluso da Mattarella, sarebbe ipotizzabile solo se la Corte costituzionale, con l’attesa pronuncia sull’“Italicum”, dovesse riuscire nell’ardua impresa di metterlo al riparo da sbocchi contraddittori o paralizzanti.
Il governo Gentiloni è indiscutibilmente un governo “di responsabilità” non per chissà quale sua particolare caratteristica ma come lo è ogni governo della nostra Repubblica per il disposto dell’art. 95 dello Statuto il quale afferma che “il Presidente del Consiglio dei Ministri dirige la politica generale del governo e ne è responsabile” aggiungendo che egli “mantiene l’unità dell’indirizzo politico e amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei Ministri”. Ed è anche un governo di transizione in quanto non può non segnare il passaggio, anche in questo caso come accade per ogni nuovo Esecutivo, verso qualcosa di diverso imposto dalla ritenuta impossibilità di conservare la precedente esperienza.
È insomma, quello di Gentiloni, un governo nella pienezza delle sue funzioni se è vero come è vero che la Costituzione non prevede governi diversi come risulta anche dalla formula del giuramento nelle mani del Capo dello Stato da parte del Presidente del Consiglio e dei Ministri così precisata dall’art. 1 della legge 23 agosto 1988 n. 400: “Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell’interesse esclusivo della Nazione”. Una formula che col riferimento all’“interesse esclusivo della Nazione” mette al bando interessi diversi compresi ovviamente quelli legati all’appartenenza partitica ovvero a intese o impegni di qualsiasi genere.
Nella conferenza stampa di fine anno Gentiloni ha sottolineato la continuità dell’attuale governo con quello del suo predecessore ma si è trattato di una rivendicazione che è apparsa più un atto di istintiva autotutela dalle possibili insidie dei vertici del suo partito che la libera espressione di un convincimento logicamente fondato e politicamente accettabile. E sì perché la “continuità” dell’attuale governo rispetto al precedente Esecutivo deve essere intesa in senso relativo come accade per ogni governo che, pur dovendo farsi carico della pregressa attività di gestione politica, ne segna comunque il superamento sia per la novità dei contenuti imposta dall’incalzare degli eventi e sia per lo stile della diversa personalità del Premier.
Il governo Gentiloni è dunque chiamato ad aprirsi al futuro gestendo l’“eredità” del passato. Un “lascito” politico che il premier è tenuto ad amministrare, ovviamente entro i limiti consentiti dalla maggioranza che lo esprime, con la massima innovazione possibile tenuto conto che la precedente esperienza governativa è stata nettamente bocciata da un voto referendario che lo stesso Renzi aveva, personalizzando la contesa, invocato come un plebiscito a sostegno dell’intero progetto politico del suo Esecutivo. Ha ragione il Presidente Mattarella quando nel messaggio di Capodanno afferma che “dare la parola agli elettori in certi momenti è la strada maestra” e hanno ragione quanti ritengono che lo è anche per cancellare l’anomalia di un susseguirsi negli ultimi anni di governi privi di qualsiasi specifico mandato elettorale. Un’esigenza che sarà probabilmente tenuta nel debito conto, per quanto consentito dalle sue prerogative, dalla Consulta nella sua pronuncia sull’Italicum sicché le fregole elettorali lasciano il tempo che trovano, sembrano mosse da un inammissibile impulso di rivincita e appaiono non rispettose di quella “sovranità” che, come dice l’art. 1 dello Statuto, “appartiene al popolo” e che è stata col recente referendum da esso esercitata “nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
Tenuto conto dell’ormai consolidato assetto tripolare del sistema politico italiano nonché dell’inevitabile superamento dell’Italicum ad opera della Consulta e/o del Parlamento, se si vuole scongiurare una perdurante ingovernabilità che aggraverebbe la multiforme crisi che travaglia il Paese, si profilano solo due possibili sbocchi della prossima consultazione elettorale politica destinati a costituire un’ineluttabile alternativa: o il ritorno alla grande, dopo una morte solo apparente, di quel patto del Nazareno fra renzismo e berlusconismo che è nel Dna delle due esperienze politiche (l’opposizione di Forza Italia e il suo “no” al referendum sono state solo scelte tattiche) o la maturazione di un’intesa fra le sensibilità e gli orientamenti che sono stati il nerbo del fronte del “no” referendario vale a dire fra le diverse formazioni di sinistra interne o esterne al Pd e l’anima progressista, ecologista e solidarista del Movimento pentastellato. Una intesa difficile per la scelta di isolamento del citato movimento che rischia di condannarsi a un’impotenza politica foriera di una progressiva consunzione e per gli atteggiamenti amletici e frazionisti della sinistra. Ma una convergenza necessaria se non si vuole favorire una risposta antitetica al messaggio riveniente dalla consultazione referendaria col prevedibile inasprimento dei conflitti sociali.
Il nostro Paese che ha detto “no” a riforme destinate a deformare la nostra Repubblica non aspira certo a una nuova edizione del patto del Nazareno. Ha invece urgente bisogno di un grande e pluralistico movimento per “l’attuazione” della Costituzione, una convergenza di forze di diversa ispirazione culturale capaci di tradurre in programmi concreti e incisivi la forza liberante e trasformatrice del messaggio costituzionale all’insegna dei valori di quell’umanesimo sociale che riprende e rielabora le migliori tradizioni della sinistra storica nonché dei valori del solidarismo cristiano, del movimento dei lavoratori e degli altri movimenti di cittadinanza attiva e di lotta contro le crescenti disuguaglianze.
 
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