Priva di morte, orfana di vita. Così la persona sceglie per sé

Priva di morte, orfana di vita. Così la persona sceglie per sé
di Roberto TANISI
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Lunedì 24 Aprile 2017, 16:57
Max Fanelli, ammalato di Sclerosi laterale amiotrofica (S.L.A.), ha vissuto gli ultimi mesi della sua vita completamente immobilizzato a letto, impossibilitato a compiere anche il più piccolo movimento. Riusciva a muovere un solo occhio e con questo movimento, tramite un computer a lettura ottica, riusciva a comunicare col mondo. Se n’è andato, per via naturale, circa un anno fa, senza ricorrere al suicidio assistito o alla interruzione dei trattamenti sanitari che lo tenevano in vita. Nonostante questo, però, egli si è battuto sino all’ultimo perché venisse approvata una legge per la libertà di scelta dei malati, quanto a cure e trattamenti nel momento terminale della vita. Come Piergiorgio Welby che, una decina d’anni fa, al contrario di Fanelli, scelse invece deliberatamente di morire, autorizzando il distacco dalle macchine che lo mantenevano artificialmente in vita.

Proprio in questi giorni è stato approvato, in prima lettura dalla Camera dei deputati, il disegno di legge sulle cosiddette D.A.T. (Disposizioni anticipate di trattamento), acronimo della più accessibile espressione “testamento biologico” o “bio testamento”. È un primo, importante passo verso una legge che regoli, finalmente, il “fine-vita”, colmando un vuoto normativo che in questi anni è stato al centro di molte polemiche. Polemiche che non sono mancate neppure in questi giorni, se è vero – come è vero - che un sacerdote molisano ha pensato bene di protestare contro il voto della Camera facendo suonare “a morto” le campane della propria chiesa e facendo, poi, affiggere dei manifesti con la scritta “La vita è vittima della morte”, spiegando ad un giornalista che lo intervistava: “A freddo puoi pure chiedere di rinunciare alle terapie, ma quando ci si trova faccia a faccia con la morte prevale l’istinto di sopravvivenza. Ma se hai firmato per morire a quel punto come puoi tornare indietro?”. Un’affermazione che, pur nel rispetto di qualsivoglia opinione, denota, quanto meno, la mancata conoscenza del nuovo testo normativo. Un testo che, peraltro, viene da lontano, posto che il primo D.D.L. venne presentato alla Camera dei Deputati addirittura nel lontano febbraio 1999 e fu poi seguito da molte altre proposte in tutte le legislature successive, senza che si pervenisse mai all’approvazione di un testo definitivo. Ora un primo passo è stato compiuto.

Punctum dolens delle passate proposte di legge era quello del contenuto e dei limiti della D.A.T, dal momento che, con una sorta di acrobazia verbale, si escludeva che alimentazione e idratazione forzata potessero costituire oggetto di dichiarazione – e, dunque, essere rifiutate dal paziente – sul presupposto che esse non sarebbero “terapie mediche”, ma “forme di sostegno vitale”.

Punto centrale del nuovo testo di legge è il consenso informato del paziente. La legge, infatti, tutela il diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione, stabilendo che “nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona”. Il consenso diventa, dunque, il punto d’incontro fra “l’autonomia decisionale del paziente” e la “competenza professionale del medico” e, su richiesta del paziente, può essere esteso ai suoi familiari i quali vengono, così, ad essere coinvolti nelle scelte di cura reputate più idonee. Il consenso informato è acquisito in forma scritta, attraverso videoregistrazioni o gli strumenti più consoni alle condizioni del paziente. Importantissima ed innovativa la statuizione di cui al 5° comma dell’art. 1: “Ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere ha il diritto di accettare o rifiutare qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario indicato dal medico per la sua patologia o singoli atti del trattamento stesso. Ha, inoltre, il diritto di revocare in qualsiasi momento il consenso prestato, anche quando la revoca comporti l’interruzione del trattamento, ivi incluse la nutrizione e l’idratazione artificiali. L’accettazione, la revoca e il rifiuto sono annotati nella cartella clinica o nel fascicolo sanitario elettronico”. Nutrizione ed idratazione artificiali vengono, dunque, considerate come veri e propri trattamenti sanitari, dei quali è possibile chiedere l’interruzione. Peraltro, se al paziente è riconosciuto il diritto di rifiutare o abbandonare le terapie ed ogni trattamento sanitario, al medico è riconosciuta l’obiezione di coscienza e, dunque, la possibilità di rifiutarsi di “staccare la spina” (anche se, ovviamente, in tal caso potrà essere sostituito da altro medico non obiettore).

La legge prevede anche il divieto di “accanimento terapeutico” in caso di malattia terminale e la possibilità, in presenza di sofferenze refrattarie ai trattamenti sanitari, di conseguire la sedazione palliativa e profonda, in una alla terapia del dolore (dovendo il medico adoperarsi in ogni modo per alleviare le sofferenze del paziente).
Quanto alle D.A.T. (Disposizioni anticipate di trattamento), il testo di legge approvato dalla Camera prevede che ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere (per minori ed incapaci vi è un’apposita diposizione che valorizza il ruolo di genitori, tutori e amministratori di sostegno) possa, in previsione di una futura incapacità di autodeterminarsi e previa adeguata informazione medica, dettare disposizioni espressive della sua volontà in materia di trattamenti sanitari, compreso il rifiuto di cure, terapie, idratazione e nutrizione artificiali. Tali disposizioni saranno vincolanti per il medico, a meno che non appaiano manifestamente inappropriate o non corrispondenti alla situazione clinica del paziente, oppure superate a fronte di nuove terapie non conosciute al momento della sottoscrizione. Ovviamente, con buona pace del parroco molisano, esse possono essere modificate e revocate con ogni mezzo ed in qualsiasi momento.

Come si vede, la legge non ha nulla a che vedere con l’eutanasia o il suicidio assistito e, ad una prima lettura, pare un buon punto di compromesso, soprattutto se rapportata all’attuale vuoto normativo (pur non risultando esaustiva di tutte le problematiche legate al “fine-vita”). Essa, in un certo senso, si pone sulla medesima lunghezza d’onda della Sentenza n. 21748/07 con cui la Cassazione risolse la penosa vicenda di Eluana Englaro. Partendo proprio dal presupposto costituito dal consenso informato e dalla capacità di autodeterminazione del paziente, la Suprema Corte statuì la possibilità, per il “malato in stato vegetativo permanente e … tenuto artificialmente in vita mediante un sondino naso-gastrico” (qual era da oltre 15 anni Eluana Englaro) la possibilità per il tutore, nel contraddittorio con il curatore speciale, di disattivare tale “presidio sanitario” quando “la condizione di stato vegetativo sia, in base ad un rigoroso apprezzamento clinico, accertata come irreversibile e non vi sia alcun fondamento medico … che lasci supporre la benché minima possibilità di un qualche, sia pure flebile, recupero della coscienza e di ritorno alla percezione del mondo esterno” e sempre che “tale istanza sia realmente espressiva … della voce del paziente medesimo, tratta dalle sue precedenti dichiarazioni”. Una sentenza, giova osservare, che ebbe poi l’ulteriore avallo sia della Corte Costituzionale sia della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, siccome ancorata a principi contenuti nella nostra Costituzione, fra cui la libera autodeterminazione terapeutica del cittadino. Perché può accadere, purtroppo, che – come scriveva Leonardo Sciascia – “ad un certo punto della vita non è la speranza l’ultima a morire, ma il morire è l’ultima speranza”. Ed in tal caso, quando la persona è “priva di morte ed orfana di vita”, secondo la nostra Costituzione spetta solo a lei la decisione estrema.
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