La croce di ulivo nella scelta profetica di don Tonino

don Tonino Bello con la croce di ulivo
don Tonino Bello con la croce di ulivo
di Giovanni SECLI'
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Mercoledì 25 Aprile 2018, 18:28
Evoc-azione del potere dei segni: il seducente messaggio di don Tonino Bello non deve solo risuonare con il rischio di essere tradito nel suo strutturale invito al dovere di tradurre i simboli in impegno e in azione continua di rigenerazione. Il pastorale e la croce di legno d’ulivo era una scelta “post-fetica e pro-fetica insieme” di don Tonino. Emblema della storia nodosa di lavoro, sfruttamento, legame alla terra dei contadini di Puglia.  Ma anche presagio e auspicio verso il futuro, oggi purtroppo segnato dal dramma del disseccamento, criticità da cui rialzarsi per riprendere un cammino di rinascita del territorio. Gli ulivi sotto la cui ombra secolare era nato, i cui tronchi educava ad accarezzare e a venerare, quali silenti testimoni e simboli della civiltà mediterranea, greco-romana e cristiana insieme.

Probabilmente in lui il monito apocalittico e metaforico di Gesù (Luca 33-31) “Se si tratta così il legno verde cosa sarà del legno secco?”, oltre le riflessioni morali , ha evocato anche suggestioni e richiami culturali e colturali legati alla terra, “incarnandoli” nei simboli in legno d’ulivo –croce e pastorale- del suo ministero sacerdotale.

L’ulivo tra il “potere dei segni”, richiamato dal Papa: della terra, del lavoro, della condivisione culturale: segni che devono trasformarsi in semi di percorsi e impegni concreti. Con il coinvolgimento di tutto il territorio, dalle istituzioni, alle associazioni di categoria, dal mondo della cultura e della scuola, agli artigiani, contadini e taglialegna, e della stessa chiesa. Quale forte messaggio avrebbero rappresentato (come suggerito) due ulivi monumentali, ai lati del palco papale? Uno verdeggiante di ancora non sopita speranza; l’altro pur disseccato, ma vivo –quindi da preservare e valorizzare artisticamente- nel suo messaggio naturale e culturale scolpito dal tempo e dal lavoro di generazioni di contadini…!

Il potere dei segni interroga anche le nostre responsabilità: ci siamo presi cura degli ulivi e della terra come dovere da parte dei figli? Abbandono dei campi, rendita parassitaria, incendi, cementificazione selvaggia ed eccessiva li hanno usati o distrutti per oltre cinquant’anni (nonostante leggi nazionali e regionali, inadeguate o inapplicate ). Il loro legno pregiato delle potature, i tronchi anche monumentali in genere destinati al fuoco: per secoli per necessità e povertà , ora per un’inveterata abitudine,più che mai ingiustificata e insostenibile , anche per le tecnologie di riscaldamento a disposizione.L’epidemia del disseccamento non ha favorito la doverosa riconversione rispetto a tale distruzione: ora senza rivegetazione (a meno di terapie e cure efficaci o regressione naturale della fitopatia) si incenerisce una materia prima preziosa e difficilmente rinnovabile, oltre a sculture naturali elaborate nei secoli. Un suicidio inconsapevole, culturale ed economico insieme!
Al di là di tale scenario devastante e non roseo, si imporrebbe comunque un approccio diverso con il legno verde e con quello secco, espressione di gestione intelligente delle risorse, di capacità di progettare percorsi nuovi, consolidati in altre regioni italiane (Trentino) e mediterranee (Palestina).

Un percorso di cura e buone pratiche ancora speranzose (che va sostenuto)degli alberi custodi del paesaggio, finalizzato a preservarli prima di estirparli, soprattutto secolari etra tra le rocce , testimoni del radicamento nella terra e nella storia; come verso i propri cari vittime di malattie giudicate incurabili. In questo approccio ciò che può dipendere da noi deve fare i conti con le dinamiche della natura e della fitopatia.

Della gestione intelligente e virtuosa del legno rimosso o disseccato siamo invece completamente responsabili. Non si può esaltare a parole il valore simbolico del pastorale e della croce lignei, solo per il tempo della visita del Papa, per poi continuare a svendere e incenerire materia prima preziosa opere d’arte. L’evoc-azione dei segni deve attivare visioni e progetti virtuosi. Il pastorale d’ulivo deve indirizzare percorsi nei quali il legno continui a vivere in manufatti, sculture, elementi di arredamento, dalle ricadute anche economiche: percorsi artigianali e artistici quasi inesistenti sul territorio; ci si auspica che ciò possa avviarsi, grazie ad un importante evento autunnale che il territorio dovrebbe utilizzare al meglio, superando la persistente passività.

Va ripetuta l’operazione culturale e produttiva avviata due decenni fa per la pietra leccese: quando Cursi e il territorio circostante si trasformarono in un laboratorio a cielo aperto, invertendo in seguito lo spreco e la svendita di tale materia prima, consapevoli della sua limitatezza e insieme delle sue potenzialità artigianali. Analogamente alla storia del mosto del Salento, a lungo da taglio per nobilitare vini dal marchio famoso, ed ora restituito nella denominazione e anche nella redditività al territorio.

Nel pastorale d’ulivo di don Tonino devono continuare a vivere i tronchi scultorei disseccati: custoditi sul terreno (in “parchi della memoria”- Fontanazza) o sul territorio quando è possibile, quali testimoni del passato e custodi del futuro; ma anche ambasciatori nel mondo –da ospitare in musei , istituzioni, centri culturali, etc- del Salento, della sua ricchezza e del suo dramma.

Ma prima essi devono essere “riaccarezzati” dalle mani virtuose di artigiani e artisti salentini, nipoti degli avi che li hanno “scolpiti”: attraverso un percorso - non il solo - foriero di speranza di azione rinascita per il territorio. Mettersi il grembiule, sporcarsi le mani per riscattarsi da una fitopatia inquietante e in parte oscura; e ricostruire un sentiero su cui don Tonino si sarebbe messo in marcia con il suo pastorale d’ulivo.




 
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