Aiutiamo i giovani investendo nella formazione

di Robert D'ALESSANDRO*
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Venerdì 20 Gennaio 2017, 17:49
Siamo al Sud dove la crisi ha avuto conseguenze drammatiche; il posto in cui la “paura di non farcela mai” è più alta di ogni altra parte d’Europa. Siamo nel 2017 e l’incessante fuga dei cervelli costringe quasi 500mila giovani a lasciare il Mezzogiorno (di questi, più di 130mila sono laureati). Stiamo parlando del Mezzogiorno d’Italia, in cui la distanza tra ricchi e poveri è maggiore che nel resto d’Europa. Il 7,58% dei giovani meridionali, anche se laureato e occupato, si trova in condizione di povertà: una percentuale più che doppia rispetto ai coetanei del Centro Nord. Le ricette della “modernità” in tema di lavoro degli ultimi decenni, infatti, hanno prodotto una perversione per cui lavorare non significa più uscire automaticamente dalla povertà, essere autosufficienti. Ciò è maggiormente vero nel Sud tanto che la condizione del mondo del lavoro vista da qui, considerati anche gli alti tassi di disoccupazione, impone come non più rinviabile l’introduzione, accanto a politiche per l’occupazione, di forme di garanzia del reddito.
Significa, in altri termini, abbandonare le politiche europee di austerity le quali hanno prodotto un peggioramento generale delle condizioni di vita a scapito di un accumulo di ricchezza per pochi, facendo pagare un prezzo altissimo alle fasce sociali più deboli, anche attraverso lo smantellamento dei diritti del lavoro e sociali. Tra le vittime dell’austerity occorre, purtroppo, annoverare anche il sistema universitario.
Nell’ultimo decennio l’Ocse registra nel nostro paese un crollo del 20% delle immatricolazioni universitarie (circa 65mila, 35mila di questi sono negli atenei meridionali) e una diminuzione da 63mila a 52mila unità del numero di docenti. Il fondo per il finanziamento dell’università (Ffo) ha un segno meno del 22,5% portando il nostro paese ad essere, dopo Regno Unito e Olanda, quello con la pressione fiscale universitaria più alta: più si abbassa il finanziamento pubblico all’università, più sono gli studenti a dover sostenere il proprio percorso di studi. Anche sul diritto allo studio siamo nel Medioevo: solo il 7,95% degli studenti italiani riceve una borsa di studio a fronte di una copertura del 25% in Germania, del 27% in Spagna e del 35% in Francia. Peraltro, l’Italia eroga le borse di studio più esigue con un valore medio tra i 1.000 e i 3.000 euro, quando altri Paesi registrano importi mediamente superiori ai 5.000 euro.
È dunque evidente come vi sia in atto, da ormai diversi anni, una politica di disinvestimento nell’università. Per questo motivo mentre sino agli anni ‘90 l’università era considerata lo strumento che dava a tutti la possibilità di migliorare le proprie condizioni economico-sociali, oggi è invece diffusa la convinzione che laurearsi non convenga più poiché gli sforzi non potranno essere ripagati da una buona occupazione. In tal modo, il nostro paese ha smesso di immaginare un futuro per se stesso e per i propri giovani, il cui mancato investimento in istruzione e cultura ne determina anche la sua debolezza economica.
Insomma, la mia generazione è costretta a ritardare l’ingresso nel mondo del lavoro, subordinarlo prima ad un tirocinio (ad una o alcune delle sue forme) quindi ad un lavoro pagato a voucher che segue o si alterna ad un contratto flessibile (altrettanto mal pagato), per arrivare poi ad un contratto “instabilmente” indeterminato del jobs act. In questo vortice della precarietà è facile trovarsi per lunghi periodi “senza lavoro” o “senza frequentare una scuola” o “formazione” (in questo caso diventiamo “neet”). I sempre meno giovani che iscrivendosi all’università sperano di saltare almeno alcune di queste tappe di una vera e propria via crucis sociale si accorgono presto che dopo la laurea c’è ancora l’attesa di un ricatto occupazionale infinito, o un master a cui iscriversi per “aumentare o definire meglio” le proprie “skill” in un paese che però non investendo, non innovando ci costringe molto spesso a ritrovarci, alla fine, “over skilled”: la beffa finale.
Solo un investimento congiunto in formazione, università e ricerca, da un lato e nuovi diritti sociali e del lavoro dall’altro, potranno ridurre le diseguaglianze e restituire “libertà e dignità” a chi, per troppo tempo, ne è stato privato. È questa la battaglia per la quale abbiamo deciso di impegnarci, come studenti, come cittadini.

*Rappresentante studenti UniSalento
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