Noi e la povertà: ridistribuire la ricchezza, far ripartire lo sviluppo

di Chiara MONTEFRANCESCO
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Martedì 7 Febbraio 2017, 18:40
Cresce l’attenzione a quanti, concittadini o connazionali, versano in condizioni di indigenza e di povertà. È nelle corde di una comunità l’attenzione all’altro, soprattutto quando è in difficoltà. D’altra parte una comunità è per definizione inclusiva. In essa i bambini, a qualunque famiglia appartengano, sono di tutti e da tutti protetti. E gli anziani meritano ed hanno il rispetto di tutti. E i poveri come i sofferenti e i derelitti non sono mai abbandonati a se stessi. La comunità, quando è piccola li protegge. E li protegge facendo spesso ricorso alle proprie risorse ed alla generosità dei suoi membri. Questo è vero anche nelle città e nello Stato, che via via, complice la dimensione, vedono sempre più vacillare fino a scomparire i rapporti personali. Subentrano allora le istituzioni locali, regionali o nazionali a garantire protezione e sicurezza a quanti sono in difficoltà.
Lo Stato Sociale è stato senza dubbio la più grande conquista dell’Europa. Fu costruito sul miracolo economico che si produsse tra gli anni ‘50 e ‘60 del secolo scorso, dopo la terribile, disastrosa guerra nazi-fascista. Oggi è in crisi. Ed ecco che il tema della povertà torna a mordere. La ricchezza è sempre meno un patrimonio sociale e sempre più un privilegio di pochi. E lo stato sociale scricchiola da tutte le parti. Quindi ben venga l’attenzione per i poveri, quelli antichi che noi identificavamo con quanti, per caso, per perversi retaggi accumulatisi nei tempi, per situazioni particolari e impreviste oltre che imprevedibili, avevano dovuto subire la durezza della vita e l’indifferenza dei più, ma anche quelli nuovi, prodotti da un sistema economico schizofrenico che concentra la ricchezza e distribuisce povertà.
D’altra parte non può essere lasciato alle sole organizzazioni sociali di assistenza, dalla Caritas alle altre sempre legate alle Chiese o espressione del mondo laico, l’onere di far fronte al crescente disagio sociale come denunciato dai vescovi e da ultimo rilevato dal Rapporto Italia di Eurispes. Certo, per evitare fughe velleitarie, è necessario fare sempre i conti con la sostenibilità dei costi. Magari con uno sforzo teso a razionalizzare i servizi delle istituzioni, eliminando sprechi e ridondanze e, perché no?, orientando al sociale quota parte dei proventi dello sviluppo energetico da fonti alternative, di quello turistico che tutti si augurano impetuoso ed anche quota parte dei proventi di una gestione ambientale responsabile , partecipata dai cittadini. Redistribuendo una percentuale dei profitti energetici, dei maggiori incassi delle tasse di soggiorno e dei risparmi della raccolta differenziata, per esempio. La distribuzione del reddito è la cartina di tornasole di una società ben equilibrata. Si ottiene attraverso un razionale sistema di imposte e/o attraverso la dilatazione delle spese sociali finanziate dalla fiscalità generale o di scopo o attraverso forme di solidarietà legate ai risultati dello sforzo collettivo per sostenere le performances di particolari settori.
Il Pil , ammoniva Robert Kennedy, non ci dice nulla delle sofferenze, delle gioie o delle speranze della gente. Soprattutto Se non capiamo come si distribuisce. E, oggi possiamo aggiungere, se non correggiamo la terribile sperequazione tra i detentori della ricchezza ed il resto della società.
Proprio partendo da queste considerazioni è necessario non dimenticare che la povertà si combatte invertendo i processi attualmente in atto che vedono sempre più dilatarsi la forbice tra concentrazione della ricchezza e diffusione della povertà. È fondamentale la lotta alla povertà e all’emergenza ma tornando a progettare lo sviluppo della propria comunità o della nazione attraverso strategie ambiziose che facciano riprendere la navigazione... per l’alto mare aperto, per dirla con l’Ulisse dantesco.
Sviluppo culturale, sociale e, latu sensu, economico, diventano prioritari, magari esercitandosi ad alzare lo sguardo verso un orizzonte più ampio che vada oltre i confini amministrativi della propria comunità locale o regionale, per puntare ad una integrazione vincente dei territori, dei sistemi produttivi, nella direzione di prospettive condivise.
È fuor di dubbio che se si vuole ragionare in termini di sviluppo, di ricchezza, di benessere economico e sociale bisogna saper andare oltre i propri confini. Guardare a tutto quanto si muove intorno a noi. Nasce da qui l’idea, a livello territoriale, di una area urbana metropolitana che esalti le potenzialità di un bacino che, per popolazione, dimensioni di mercato, capacità e dotazioni umane, professionali, universitarie, produttive e infrastrutturali, può competere ad armi pari sulla scenario regionale, nazionale e Mediterraneo.
Non può essere essa l’idea forza intorno a cui costruire programmi e strategie future? L’idea forza che dà consistenza alla lotta alla povertà? E alla stessa visione della vita culturale oltre che alla programmazione e progettazione degli spazi urbani, dei sistemi produttivi e logistici, delle dotazioni infrastrutturali con le indispensabili implicazioni della mobilità interna ed esterna? Non è tempo ormai di porsi in una prospettiva di medio-lungo periodo, abbandonando la navigazione a vista, per proporre un nuovo futuro alle nostre comunità, siano esse locali o nazionali? E far tornare ad essere le nostre città ed il nostro Paese, realtà per giovani e per quanti vogliono rimettersi in cammino mettendo in discussione gli attuali sgangherati equilibri e costruendone dei nuovi, sulla scia dei grandi valori da sempre bagaglio irrinunciabile della nostra storia?
 
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