Il compito di giudicare e il rapporto con la sovranità popolare

Il compito di giudicare e il rapporto con la sovranità popolare
di Michele DI SCHIENA
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Giovedì 6 Aprile 2017, 17:48
Con un articolo dal titolo “Decidere della vita e della morte. Così uno spettacolo ci mette in crisi” apparso su questo giornale il 22 marzo scorso il giudice Roberto Tanisi diceva che gli era spesso capitato, soprattutto dopo decisioni giudiziarie su clamorosi fatti di cronaca, di sentire “commenti e rilievi espressi, a dir poco, con troppa facinoleria, vere e proprie sparate contro il non condiviso contenuto della decisione, fatte, peraltro, da chi non conosce il contenuto di un solo atto processuale”. E aggiungeva di aver pensato: “quanto mi piacerebbe vedere Tizio o Caio, così sicuro di sé, al posto del giudice!” rilevando poi che la possibilità di cimentarsi con la “decisione” viene oggi offerta da uno spettacolo teatrale “non ancora sbarcato in Italia, che ha mietuto successi un po’ in tutto il mondo” e cioè la piece intitolata “Terror” diretta da Sean Holmes su un testo di Ferdinand Von Schiraz.

Un’opera che racconta la drammatica vicenda di un ufficiale dell’aeronautica sottoposto a processo penale con l’accusa di omicidio plurimo il quale, avendo avuto l’ordine di scortare col proprio aereo un velivolo civile dirottato da terroristi e accortosi che tale apparecchio aveva cambiato rotta per dirigersi su uno stadio dove si svolgeva la partita Germania-Inghilterra alla presenza di 70.000 persone, decideva di abbattere l’aereo dirottato pur nella consapevolezza che insieme ai terroristi sarebbero morte 164 persone. Da qui il dilemma dell’assoluzione o della condanna dell’ufficiale imputato che gli autori dello spettacolo non lasciano ai giudici ma affidano agli spettatori, i quali vengono chiamati ad esprimersi con un voto al termine della rappresentazione. Da qui il seguente interrogativo che il valente magistrato poneva a conclusione del suo scritto: “Se e quando lo spettacolo sarà rappresentato in Italia, gli spettatori italiani, o, ancora più specificatamente i lettori del Quotidiano, come si pronunceranno?”

Personalmente credo che il giudice Tanisi si sia meritoriamente servito di una ben architettata rappresentazione teatrale per stimolare la riflessione dei lettori sulla fatica e la responsabilità della funzione giudiziaria che consiste nell’applicazione delle norme generali e astratte ai casi particolari e concreti in un sistema inteso a garantire l’indipendenza della Magistratura. Un lavoro delicato e gravoso per il quale la Magistratura, oramai refrattaria ad ogni concezione elitaria o corporativa del suo ruolo, non pretende privilegi o riconoscimenti di dignità diversi da quello che la Costituzione opera nei confronti del lavoro in generale ponendolo a fondamento della nostra Repubblica. Un lavoro, quello dei giudici, che in questa difficile fase della vita sociale e politica del Paese si sta dimostrando prezioso per la tutela e il ripristino della legalità ma che spesso diviene invece oggetto di ingiusti attacchi e di strumentali tentativi di delegittimazione. C’è da chiedersi allora se di fronte a questioni come quella prospettata dal citato spettacolo teatrale sia di qualche utilità che si pronuncino gli spettatori. E ciò in considerazione del fatto che se sono spesso campati in aria, come ritiene il giudice Tanisi, commenti e giudizi su fatti clamorosi realmente accaduti espressi da chi nulla conosce del relativo processo, lo sono ovviamente ancora di più i pronunciamenti di chi ha assistito solo a uno spettacolo immaginario che ha dato luogo a un’altrettanta immaginaria imputazione di omicidio.

Quanto al citato spettacolo teatrale si può dire solo che, ove fosse effettivamente accaduto l’ipotizzato dirottamento, il giudice, sulla base di tutte le risultanze processuali, avrebbe dovuto analizzare il caso concreto in tutti i suoi aspetti oggettivi e soggettivi e valutare l’applicabilità o meno delle diverse norme che disciplinano l’omicidio plurimo e di quelle che prevedono cause oggettive di esclusione del reato e in particolare della disposizione concernente lo stato di necessità (la non punibilità nel caso di pericolo attuale di un grave danno alla persona, non altrimenti evitabile e a condizione che il fatto sia proporzionato al pericolo).

Il fatto è che la nostra Costituzione all’articolo 1 proclama che “La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione” e che lo stesso Statuto all’articolo 101 afferma che “la giustizia è amministrata in nome del popolo” e che “i giudici sono soggetti soltanto alla legge”. Si pone allora il problema del rapporto fra sovranità popolare e magistratura. E a tale riguardo illuminanti, per semplicità e chiarezza, risultano le parole dell’illustre giurista Carlo Esposito: “la disposizione che il popolo è sovrano nelle forme e nei limiti della Costituzione non significa che la Costituzione sopravvenga per porre limiti estrinseci all’esercizio di una preesistente sovranità del popolo, ma proprio all’opposto che la sovranità del popolo esiste solo nei limiti e nelle forme in cui la Costituzione la organizza, la riconosce e la rende possibile, e fin quando sia esercitata nelle forme e nei limiti del diritto. Fuori della Costituzione e del diritto non c’è la sovranità, ma l’arbitrio popolare, non c’è il popolo sovrano, ma la massa con le sue passioni e con la sua debolezza” (Carlo Esposito, Commento all’articolo 1 della Costituzione del 1948, ripubblicato in La Costituzione italiana – Saggi, Padova, 1954).

I giudici, nell’esercizio della funzione giurisdizionale, hanno quindi il compito di applicare la legge senza alcun condizionamento determinato da orientamenti culturali, religiosi o politici giacché la sola etica della quale devono tener conto nel decidere è quella desumibile dai principi e dalle direttive della Carta Costituzionale. I giudici in fondo, come giustamente afferma l’ex Presidente della Corte Costituzionale Gaetano Silvestre, “sono uomini di regole e non di fini e le regole devono essere sempre applicate”. Cosa del tutto diversa ovviamente sono, sempre a fronte di clamorosi fatti di cronaca giudiziaria, i commenti e i pareri dei cittadini che possono essere determinati o influenzati dalle loro scelte culturali, dalle cose in cui credono e dalle passioni che vivono. Umori e orientamenti dei quali può tener conto il Parlamento nello svolgimento della sua funzione legislativa. Lasciano allora il tempo che trovano, a fronte di clamorosi processi, i passionali scontri fra le tradizionali tifoserie degli innocentisti e dei colpevolisti.

La piece “Terror” sarà pure uno spettacolo ben fatto, forte e complesso ma la scelta degli autori di incorporare nello spettacolo medesimo il pronunciamento di condanna o di assoluzione degli spettatori appare soprattutto una brillante trovata pubblicitaria. Il dramma del terrorismo richiede forse qualcosa di più e cioè l’impiego, anche nel campo degli spettacoli teatrali e cinematografici, di sensibilità e di energie rivolte a comprendere le cause dell’efferato fenomeno per affrontarlo efficacemente sia sotto il profilo della prevenzione e della repressione e sia sul versante delle misure necessarie per contrastare le vecchie e nuove povertà e le crescenti disuguaglianze sociali.
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