Il modello Hamon che spiazza la sinistra

di Francesco SAPONARO
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Domenica 5 Febbraio 2017, 19:25
Benoît Hamon ha vinto le primarie del Partito Socialista francese contro il premier Manuel Valls con una significativa maggioranza. È interessante riflettere sul fatto che Hamon ha basato la sua campagna elettorale su un programma di sinistra molto caratterizzato e innovativo (www.benoithamon2017.fr). I media hanno dato risalto solo alla sua proposta di reddito universale, ma la lettura integrale del suo programma offre molti spunti interessanti sui temi del futuro dell’Europa e della riconversione ecologica dell’economia. Spunti ispirati dalla filosofia politica definita convivialismo, che propugna un rinnovamento delle classiche impostazioni socialdemocratiche. Non sono mancati i commenti che invitano anche la sinistra italiana a riflettere sulle implicazioni di questo risultato. Se però i sondaggi relativi alle future elezioni politiche francesi avessero fondamento, le implicazioni per l’Italia sarebbero meno semplici e più problematiche rispetto a quelle finora evidenziate.
La prima, e meno controversa, riflessione riguarda la questione programmatica e la necessità di esporre programmi chiari e ben definiti per attirare l’attenzione ed il consenso dell’elettorato di sinistra. Il panorama italiano del versante di sinistra continua ad essere invece caratterizzato da contenuti e messaggi poco chiari per non dire ambigui. Gli esempi più noti riguardano la cosiddetta sinistra interna al PD. Bersani, noto dispensatore di proverbi e metafore di scarso successo elettorale, persevera dichiarando che, fosse per lui, sostituirebbe l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori con un articolo 17 e mezzo (a buon intenditor poche parole...).
D’Alema censura Renzi per le sue critiche alla Unione Europea, ma non spiega nemmeno chiaramente il motivo e la eventuale diversa linea da seguire. I vertici di Sinistra italiana, sono impegnati quotidianamente a criticare Giuliano Pisapia per le sue proposte di dialogo nel campo del centro-sinistra, e gli imputano di non partire dai contenuti programmatici. Quando però tentano di cimentarsi con i programmi scrivono frasi come questa: “opzioni che contemplino l’uscita dall’euro non possono essere scartate a priori” (anche qui ci vuole un buon intenditor...). L’unica proposta chiara che rimane impressa in chi ascolta i programmi politici in televisione è quella della abolizione dei voucher di lavoro, strumento che la maggior parte dei cittadini nemmeno conosce.
Ben venga quindi l’esempio del programma di Hamon come pungolo a superare la vaghezza di espressione per coloro che in Italia vogliono dar vita ad un partito di sinistra rappresentativo. Ma una ulteriore riflessione riguarda il fatto che, come confermano i sondaggi francesi, l’elettorato di centrosinistra si riconosce oggi in misura limitata in programmi come quello di Hamon, non a caso schiacciato verso il fondo della classifica delle intenzioni di voto. Il fatto è che negli ultimi vent’anni sono cambiati sia i programmi che la base sociale dei partiti socialdemocratici. Il cambiamento programmatico più importante ha riguardato il ridimensionamento del ruolo dello Stato e la nuova attenzione alla questione fiscale, per entrare in sintonia con le diffuse aspettative di riduzione del carico fiscale anche dei propri elettori. Questo cambiamento epocale viene definito da alcuni come subalternità al liberismo, da altri come esempio di maturità di una moderna sinistra, ma la conseguenza è l’indebolimento della possibilità di utilizzare la spesa pubblica per l’espansione dello Stato sociale, cavallo di battaglia della socialdemocrazia storica e del PCI in Italia. Pochi ricordano che il PD è nato con l’obiettivo, ben rimarcato nel Programma del Lingotto nel 2007, di superare la equazione sinistra=più tasse e più Stato. Sarebbe quindi molto difficile dopo quasi dieci anni rinnegare questa ragione fondativa e tornare ai vecchi programmi della sinistra.
Si può allora immaginare una coalizione ben amalgamata tra le diverse espressioni del centrosinistra? In Francia la risposta è negativa e si assiste alla deflagrazione del Partito Socialista. In Italia su questa risposta, lasciata in sospeso fin dall’epoca dei governi di centrosinistra, dovrebbero esercitarsi sia Renzi che i suoi oppositori. Ma la sostanza programmatica di questo tema viene accantonata anche da chi, come Massimo D’Alema, considera da sempre il PD “un amalgama mal riuscito” e oggi sostiene che un partito di sinistra con una buona base elettorale potrebbe dialogare più efficacemente con il PD. Nelle sue parole pare riecheggiare il famoso consiglio di Lenin ai socialisti di sinistra italiani: separatevi da Turati e poi alleatevi con lui. A dire il vero anche Lenin non amava programmi troppo precisi.
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