Il caso Bari e altro: l'eccezione Lecce in un calcio che va a rotoli

di Giovanni CAMARDA
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Lunedì 16 Luglio 2018, 11:38 - Ultimo aggiornamento: 11:39
Non tutti i fallimenti vengono per nuocere. Quello del Bari - che in extremis il sindaco De Caro sta cercando di schivare con il duo Raddrizzani e Napoli, portati da Legrottaglie - viene da molti addirittura considerato un bene, l’unica via d’uscita rimasta grazie alla quale ripartire su basi nuove. E così, a poche ore dal verdetto finale, è ancora concreto il rischio dell’esclusione dalla B per la grave situazione finanziaria del club che farebbe scivolare il pallone biancorosso verso i campi spelacchiati della serie D.
Per molti versi quello del Bari è un caso di scuola. Stupisce che la capitale commerciale del Sud, la città delle imprese, della Fiera del Levante, dei Divella e di altri grandi nomi dell’imprenditoria e dell’industria, non riesca a garantire una continuità societaria ad alti livelli. Ovviamente, in questo caso non si tratta solo di trovare i tre milioni necessari a garantire l’iscrizione, il passivo è assai più profondo (si parla di una ventina di milioni), la situazione è oggettivamente disastrosa. Però è singolare che in un territorio economicamente così dinamico e “malato” di calcio, dopo i Matarrese - massacrati prima e rimpianti dopo - nessuno sia riuscito a produrre una gestione seria, retta da managerialità e competenze adeguate alla passione e alle ambizioni della piazza. Al contrario, Bari da molti anni a questa parte è il palcoscenico privilegiato per vicende al limite del grottesco, favorite evidentemente da un contesto segnato da superficialità e approssimazione. Il tratto caratteristico di episodi farseschi è stato il ruolo giocato puntualmente da una tifoseria cui è stato lasciato il modo di esorbitare dal proprio ruolo per diventare parte attiva di trattative, guerre intestine, operazioni confuse che hanno determinato i guasti di cui oggi Bari raccoglie i cocci.
Non si può non ricordare il trionfale arrivo sulla pista di Palese del fantomatico magnate texano Tim Burton, un gringo con stivali e cappellone accolto da migliaia di tifosi adoranti a prescindere, ignari di chi avessero di fronte, ma fiduciosi al punto da spingersi a motteggiare “io passo a Tim”. E poi inciampi, iscrizioni sul filo di lana e ancora altri personaggi improbabili come il malese Noordin Datò, simpaticissimo e sgusciante, ricevuto con grandi onori anche dall’allora sindaco Emiliano e portato a spasso in un tripudio di focaccia e allievi, le specialità della casa. Puntualmente, tutto definito e tutto sfumato nello spazio di un volo intercontinentale. Sullo sfondo, permanenti, i problemi di proprietà fuori posto e fuori mercato, non attrezzate per il compito, con Paparesta prima e Giancaspro poi firmatari di progetti, appunto, fallimentari.
Un quadro desolante ma avvolgente. La possibile “caduta” di Bari è l’ultimo episodio di una serie di inciampi che hanno interessato nel tempo tutti i capoluoghi pugliesi, tranne uno. A Foggia la situazione non è molto più allegra come certifica la pesantissima penalizzazione (magari prossima ad una riduzione) per vicende societarie sfociate in un caso giudiziario; il calcio a Brindisi è stato ripetutamente azzoppato da conduzioni rovinose ed oggi è costretto a vedere con soddisfazione anche solo una promozione in Eccellenza; Taranto ormai da anni vivacchia in serie D avendo inutilmente provato a comprare il titolo di C per poi sprecare il salto di categoria ottenuto a tavolino con modi e progettualità dilettanteschi.
Rimane Lecce e il Lecce, una mosca bianca. Mai un fallimento, nonostante ve ne siano stati ripetutamente i presupposti. Eppure alla fine va dato atto alla realtà salentina di aver trovato sempre le risorse per garantire la sopravvivenza ed evitare l’onta dell’annientamento, anche superando passaggi infelici e gestioni folcloristiche. Tuttavia, il tessuto imprenditoriale ha sempre saputo reagire alle avversità fino alla costruzione di percorsi virtuosi, come quello in corso, affidato a nomi prettamente locali ai quali solo da pochi mesi si è aggiunto uno “straniero”. Una società in grado di coniugare crescita sportiva e oculatezza nei bilanci, eppure non ancora pienamente sostenuta e anzi spesso bersaglio di attacchi drogati dal tentativo di qualcuno di imporre la propria linea al club. Per quanto minoritaria, anche nel Salento è sempre infelicemente attiva una “squadra” di pseudotifosi, opinionisti e affini che trama con l’unico scopo di destabilizzare per proprio tornaconto, si trattasse anche solo di piazzare nel management o in squadra un amico o un amico degli amici.
Nemmeno il tempo di godere di una promozione in B attesa per sei lunghi anni che è ricominciato il tiro al piccione, per esempio contro il diesse Meluso, presentato nella migliore delle ipotesi come un incapace, non all’altezza della B. Critiche inconsistenti, è ovvio, ma comunque gravi e nocive per la serenità dell’ambiente, almeno nella sua parte più umorale. Agli altri, agli avveduti, del resto basta poco per capire e discernere: se gli attacchi al direttore sportivo della promozione arrivano da chi aveva eletto Antonio Tesoro tra i migliori ds al mondo, è chiaro che si tratta di barzellette che hanno il solo risultato di mettere in ridicolo chi le dice o le scrive.
Ci vuole poco per comprendere che proprio queste “campagne” generano poi situazioni come quella vissuta oggi a Bari, un flop tale da mettere a repentaglio la possibilità di rivivere in B lo storico derby con i giallorossi. Ma se saltasse Lecce-Bari potrebbe riapparire la sfida Taranto-Bari, anche se solo in serie D, confronto assente da oltre 25 anni. I tarantini ne sarebbero lieti, i baresi un po’ meno, ma se non altro si riaccenderebbe la più antica rivalità calcistica di Puglia. Sì, non tutti i fallimenti vengono per nuocere
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