Il cambio di passo necessario

Il cambio di passo necessario
di Claudio SCAMARDELLA
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Venerdì 3 Febbraio 2017, 11:31 - Ultimo aggiornamento: 12:02
I laboratori di nanotecnologie del Cnr, l’Università del Salento, il teatro Apollo per la sua inaugurazione dopo 31 anni di chiusura: tre luoghi reali e anche simbolici di una Lecce in cammino e di quel Sud che combatte la rassegnazione, l’attesa, la lamentela e il “nonsipuotismo”. Le tappe scelte dal presidente Mattarella nella sua visita di oggi a Lecce sono tutt’altro che casuali. Ed è giusto che la sua presenza accenda i riflettori nazionali sulle cosiddette “eccellenze” - parola ormai fin troppo abusata ed anche, per certi versi, ingannevole - di questa parte del Paese. Va sempre ricordato, infatti, che le “eccellenze” sono o diventano tali perché spesso intorno c’è il deserto. E basta poco perché nel deserto si possa diventare “eccellenza”. Non sarebbe, perciò, un’immagine autentica e veritiera se il Presidente della Repubblica ricavasse dalla visita di poche ore l’impressione di un’oasi felice, di una terra che non conosce le parole crisi, emergenze, emarginazione, disperazione, povertà, criminalità, ambiente devastato e avvelenato.

Questa è una terra che soffre, e anche molto, come altre parti del Paese e come altre aree del Mezzogiorno, sul fronte dell’occupazione, dell’economia, della tenuta del tessuto sociale. E soffre molto più delle altre sul versante dei servizi e delle infrastrutture - basti solo citare il caso della disastrata rete dei trasporti e dei collegamenti - anche per una sempre più evidente lontananza dal “centro regionale” e dal “centro nazionale”. Ecco un significato concreto e duraturo che la visita - benché breve - del presidente Mattarella può avere: far sentire questa terra di frontiera un po’ più italiana e più pugliese, dimostrare che l’Italia e la Puglia – al di là delle parole di circostanza nelle occasioni ufficiali – non finiscono a Bari, come pure invece molte maldestre e sconcertanti scelte dei governi nazionale e regionale, oltre che di grandi gruppi a proprietà pubblica, hanno fatto intendere di recente.
Il Salento è Italia sempre, il Salento è Puglia sempre. Lo è quando mette in mostra “eccellenze” che diventano orgoglio dell’intero Paese e dell’intera regione, ma lo è anche quando ha bisogno di progetti infrastrutturali, investimenti pubblici, servizi di cittadinanza, e quando rivendica pari opportunità rispetto alle altre aree del Paese. Un bisogno, questo, maledettamente diffuso sul territorio, oltre che urgente nei tempi se non si vogliono perdere treni storici che difficilmente ripasseranno da queste parti.
Ricerca, conoscenza e cultura: è da tempo che su questi segmenti Lecce ha scommesso di puntare per il suo futuro. Non senza difficoltà e contraddizioni. Per le politiche nazionali, certo. I tagli nella ricerca hanno avuto ricadute negative anche nei laboratori del Cnr di Lecce, la scure sugli atenei meridionali ha provocato un ridimensionamento di corsi e di servizi all’Università del Salento, i finanziamenti per la cultura restano in Italia ancora largamente al di sotto della media europea. Ma resistenze e limiti sono forti ed evidenti anche sul territorio. Cnr e Università restano due corpi separati dalla città, le ricadute virtuose che l’uno e l’altra potrebbero avere sul tessuto non solo economico, ma anche civile e culturale restano ancora del tutto marginali.
Lecce città universitaria dovrebbe essere una delle idee-forza sulle quali inverare un progetto di governo e di trasformazione del territorio proiettato nei tempi medio-lunghi, non fosse altro per il fatto che già oggi l’Ateno è la più grande azienda del Salento. Eppure, l’Università resta quasi sempre fuori dall’agenda della politica cittadina. Anche sul fronte della cultura è tempo che Lecce compia un salto di qualità, lasciandosi alle spalle la patina di provincialismi e campanilismi, aprendo una grande riflessione sui contenuti e non solo sui contenitori. Fin qui la cultura è stata declinata, tranne in rarissimi casi, soprattutto alla voce “consumo”, e nemmeno di buona qualità. Presentazione di libri, cartelloni (privati e pubblici) del tutto replicabili altrove, mostre spesso importate, pretenziosi festival di lettura, iniziative “vintage” in estate, concerti di piazza di artisti nazionali in tour. Ed è stata declinata soprattutto nel segmento spettacolo-intrattenimento. Il necessario cambio di paradigma implica il passaggio dal solo “consumo” alla “produzione”, dal solo “effimero” allo “stabile”: il Salento ha tutte le risorse creative per “produrre” eventi culturali di rilievo nazionale e internazionale, anche oltre la pizzica e la taranta. Ha il passato (pensiamo solo a ciò che può significare una stagione dedicata a Carmelo Bene), ha il presente (giovani talenti in crescita e talenti già affermati sul piano nazionale), può contare su teatri sperimentali di esportazione, ha ricercatori e docenti universitari di grande spessore che possono dar vita ad appuntamenti fissi per lo schieramento di competenze e confronti internazionali su conoscenze settoriali. E può disporre anche di molti contenitori, buon ultimo l’Apollo. Giusto, dunque, discutere e confrontarsi su chi e come deve essere gestito il nuovo teatro, giusta anche l’idea di una fondazione pubblico-privata. Eppure, la vera sfida, d’ora in poi, va lanciata sui contenuti con l’obiettivo di “produrre” eventi culturali per tutto l’anno e oltre gli angusti confini paesani, eventi di qualità che non vuole dire di élite. Solo la cultura che “produce”, e non quella che si limita al “consumo”, diventa davvero uno dei volani di sviluppo del territorio. Crea valori e crea valore. Crea ricchezza. È di questa cultura che Lecce e il Salento hanno bisogno. Per oggi godiamoci la riapertura dell’Apollo e i riflettori nazionali accesi dal presidente Mattarella. Ma da domani pensiamo a lavorare per questo necessario salto di qualità nella politica culturale.

 
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