Il gasdotto tra vera tutela del territorio e rispetto delle regole

di Chiara MONTEFRANCESCO
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Sabato 20 Maggio 2017, 14:07
Parliamo di Tap. Ormai ne parlano tutti. E ovunque. Nei bar e in televisione, nei tg nazionali e locali, sui giornali, tradizionali e web, oltre che sui social a cominciare da Facebook. In Puglia ed in Val di Susa. Anche sulle piazze e in riva al mare. E a palazzo Chigi, o almeno nei paraggi. Non possiamo sottrarci. Magari prendendo posizione. Non puoi non prendere posizione. Lo devi a te, alla tua terra, ai tuoi figli e a quanti si affacceranno da queste parti da qui ai prossimi cinquanta anni, soprattutto se sei in lizza per un posto nelle istituzioni non importa se locali o nazionali. O in qualche partito.
Il territorio va risparmiato. E con esso il mare e le spiagge, la macchia mediterranea e gli ulivi, per non parlare della posidonia che cresce in fondo al mare. Anche se poi ti chiedi quale è il nesso tra tutto questo e un gasdotto che deve attraversare per qualche chilometro il nostro territorio, laddove in Italia corre una rete di 34.000 km. Per non parlare del Mediterraneo già da tempo ben attraversato. Gli ulivi da espiantare temporaneamente, sono alcune centinaia laddove la xylella potrebbe distruggerne a milioni, modificando radicalmente paesaggio ed economia di un’intera regione.
I rischi di emissioni in atmosfera impallidiscono a fronte delle emissioni dell’Enel di Cerano, dell’Ilva e tutto il resto a Taranto e nel cuore dello stesso Salento, e persino a fronte delle emissioni delle caldaie per il riscaldamento casalingo per non parlare delle auto che giorno e notte intasano strade e centri abitati e sparano anidride carbonica intorno a noi.
E allora? Siamo di fronte ad un complotto? A qualcosa di incomprensibile? A inconfessabili segreti ben nascosti dalle autorità nazionali ed internazionali? O è solo un banale gioco tra scorciatoie movimentiste e tentazioni conflittuali tra istituzioni? Un’occasione per regolare un po’ di conti o per calare, su un improvvisato ed insperato tavolo da gioco, qualche carta che può far vincere qualche partita? Che poi sarebbe interessante vedere queste carte e capire queste partite. Auspicando che il tutto non sia frutto di abbagli o di strabismi.
Come spiegare un accanimento così prolungato e puntiglioso, nonostante decisioni più volte ribadite in sede nazionale, regionale, oltre che dal Tar e dal Consiglio di Stato! E la voglia di non mollare? L’idea che si può sperare sempre nel pronunciamento di qualcuno? Compresa la Corte Costituzionale chiamata a dire la sua sul conflitto tra i poteri dello stato e competenze regionali. Beh! Non per niente ha vinto il no al referendum costituzionale e il titolo quinto resta invariato con le sue ampie zone d’ombra sulle competenze esclusive o concorrenti, tra l’interesse prevalente o meno dello Stato, no? E comunque non si arretra. Resta sempre la carta dei movimenti e dei sit-in. Magari convenendo, alla fine, che, sì, l’opera si può fare, che è davvero strategica, che le autorizzazioni ci sono tutte e così via. Ma che è auspicabile venga spostata. Magari sospendendo i lavori in attesa che arrivi la decisione dell’Enel di passare dal carbone al gas. E nel frattempo, chi è estraneo a questi meccanismi, si fa prendere dal dubbio e si chiede perché tutto questo non si è affrontato qualche anno fa? Perché la questione della decarbonizzazione non è stata affrontata per tempo, magari con un confronto istituzionale serrato, duro con le aziende, pubbliche o private interessare. E perché all’epoca della costruzione di Cerano il territorio non puntò sulle biotecnologie? Ma, si sa, allora erano cose incomprensibili a queste latitudini. Più semplice decantare la potenza, gli appalti, l’occupazione del megaimpianto energetico. Come già prima era risultato più gratificante esaltare le ciminiere come portatrici di benessere immediato a Taranto piuttosto che lavorare per lo sviluppo dell’agricoltura moderna, dell’industria manifatturiera pulita, del turismo, della cultura.
E poi, anche questo si sa, quando arrivano le campagne elettorali di partito o istituzionali, è complicato farsi carico di responsabilità, proprie e altrui. È più semplice ed anche conveniente vestire i panni del difensore dei cittadini manifestanti, della salute, dell’ambiente e degli olivi e della posidonia e delle spiagge e della salubrità dell’aria e delle prospettive turistiche. Sperando che qualcuno, nella pletora dei poteri istituzionali che si sovrappongono e si confondono, dica, magari, fermi tutti.
Ed intanto il popolo del Web, gli aspiranti leader ai vari livelli, i volontari dei presidi a difesa delle povere piante e contro il “gasdotto né qui né altrove”, o quelli del “gasdotto sì ma altrove” ad arrovellarsi nella ricerca di qualche scorciatoia. Che puntualmente porta a palazzo Chigi, a lambire le stanze del governo. Che, sì, ribadisce l’importanza del confronto democratico, ma anche la strategicità dell’opera e, certo, anche l’obiettivo della decarbonizzazione. Ovviamente a partire dal 2030! Magari in coincidenza con la chiusura di qualche mega impianto o centrale ormai improduttiva o comunque sufficientemente ammortizzata in tutti i suoi investimenti e fuori da ogni moderna concezione di produzione.
Certo tutti difendiamo il nostro territorio, amiamo i nostri ulivi millenari e non, anche quanti non inalberano bandiere e non irrobustiscono i presìdi e, magari, pensano che gli investimenti e l’energia siano necessari per lo sviluppo di un territorio, di una nazione. O semplicemente che, in uno Stato ordinato, le istituzioni e le loro decisioni, assunte nel rispetto delle regole, vanno rispettate. E allora cosa non ha funzionato nel gioco delle responsabilità tra le istituzioni nella vicenda Tap che dura ormai da oltre un decennio? Nel mentre le volontà internazionali, nazionali e regionali, si andavano formando, dove e quando è scattato il corto circuito che dopo dieci anni e passa ancora impedisce di valutare nella pienezza della consapevolezza un intervento che è stato sempre lì visibile a chiunque? Possibile che si possa pensare di scardinare un ordinamento statuale e democratico di un territorio, di una nazione?! Che, al di là dei processi decisionali, degli iter amministrativi, delle stesse sentenze, il movimentismo che si avventura su impervie scorciatoie e si alimenta con i presìdi ed i sit-in, con il web ed i post su Facebook possa vanificare ruolo e presenza delle istituzioni e, soprattutto, rifiutare ogni decisione che non piaccia? Che passi l’idea che le istituzioni possano essere tenute sotto scacco, tanto ci sarà sempre qualcuno pronto a cavalcare rabbia e dissenso e magari ad alimentare entrambi in vista della conquista dello stato? Con buona pace della democrazia. Non è il caso di fermarsi, senza ricominciare all’infinito a dispetto di tutto?
La pausa estiva potrebbe aiutare! Chissà!

 
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