L'importanza della cultura "inattuale"

L'importanza della cultura "inattuale"
di Antonio ERRICO
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Domenica 14 Ottobre 2018, 20:32
Tutte le volte che gli accade di ritrovarsi fra le mani la Commedia di Dante, non riesce a evitarsi il pensiero che si tratti di un’opera di irrimediabile inattualità. La lingua, i concetti, i contesti, impongono il ricorso a commenti accurati, richiedono la decifrazione di riferimenti storici che sono complessi, tramati di implicito, pretendono una tensione interpretativa che non gli consente di distrarsi neppure un istante.

Si rende conto che non può restare nel mondo in cui vive; finché si confronta con quelle terzine non ci può restare. Deve accettare il compromesso di non comprendere tutto fino in fondo, a volte di non comprendere neppure una parte.

Allora si dice che probabilmente è proprio la condizione di inattualità che trasforma un’opera in opera d’arte. E’ il suo sottrarsi alle coordinate storiche anche se su di esse si fonda, è la pluralità e la specularità dei suoi significati, il loro costante rigenerarsi, la loro penetrazione in situazioni sociali e culturali diverse, il loro costituirsi come modello di esperienza, metafora, archetipo.

D’altra parte, non si può chiedere ad una musica di essere attuale. Non c’è attualità in Mozart, in Beethoven, in Bach. Non si può chiedere ad una pittura di essere attuale. Non c’è attualità in Michelangelo, in Caravaggio, Van Gogh. Non ce n’è in Omero, in Shakespeare, in Goethe. C’è tutta l’inattualità possibile, che a volte può essere l’avamposto dell’immortalità.

Forse l’inattualità dell’opera d’arte dovrebbe insegnarci a ricercare gli elementi di inattualità nell’attuale. Non ai fini della scoperta dell’immortalità di quello che ci circonda, ma semplicemente per capire quale possa essere la sua durata.

Ogni giorno ci si ritrova davanti a qualcosa di nuovo, di attuale: un oggetto, una parola, una proposta, un prodotto, una teoria, un metodo, anche un’idea. Ogni giorno si dismette qualcosa che solo il giorno prima era nuovo, insostituibilmente attuale. Anche una nuova idea: quella per la quale si era giurato di non smettere di crederci mai.

Allora dobbiamo imparare a capire quali sono le cose del sempre nuovo attuale che possano assicurare una qualche durata nel tempo. Forse per questo ci serve ragionare sulla Commedia di Dante, anche se ovviamente rappresenta soltanto un esempio. Si può ragionare anche in maniera assolutamente banale, chiedendosi, per passatempo, la ragione per la quale riesce a significare nella sua inattualità. Sempre banalmente si potrebbe rispondere che la sua ininterrotta significazione è determinata dal fatto che non si mai riusciti a capire i significati nella loro profondità, la logica originaria che attiva i meccanismi di funzionamento.

All’uomo che quando si ritrova fra le mani la Commedia, inevitabilmente pensa alla sua inattualità, qualche giorno fa hanno regalato uno smartphone dell’ultima generazione, assai prossima alla generazione a venire, quindi di incontestabile e incontenibile attualità. Dopo poco più di un’ora aveva esplorato il menù, aveva capito perfettamente come funziona l’apparecchio, si era anche divertito con i giochini che gli occhieggiavano dal dekstop. Cominciava ad annoiarsi. Dopo poco più di un’ora avvertiva il desiderio di uno smartphone più nuovo, più attuale di quello che era diventato di un’attualità superata nel tempo di neppure un’ora e mezzo.

Dovremmo imparare a scoprire l’inattualità dell’attuale, cioè quello che dura oltre il presente che corre, che può andare oltre le mode, che può proporre significati da adottare nella nostra conoscenza, nella nostra esperienza. Innumerevoli sono i libri strillati come di grande attualità di cui non è rimasta traccia nella storia o di cui è rimasta solo traccia irrilevante. La Commedia era inattuale già nel Trecento: perché nel Trecento rappresentava quello che sarebbe accaduto nel 2018, quello che accadrà nel 2030, e dopo ancora.

Nell’attuale con cui costantemente ci confrontiamo coesistono elementi profondi ed elementi superficiali. Si deve imparare a distinguere, per non farsi sedurre e imbrogliare dal superficiale. Dovremmo imparare a distinguere, a capire. Soprattutto quando quello che si definisce attuale riguarda i fatti della cultura, perché quelli sono fatti che determinano la sostanza di una civiltà.

Quando in poco più di un’ora, l’uomo ha scoperto tutto quello che c’era da scoprire sullo smartphone dell’ultima generazione, quando ha sentito la noia crescergli dentro, ha preso a rigirarsi fra le mani la Commedia di Dante. Ancora più incuriosito, ancora più affascinato dalla sua irreparabile e stupenda inattualità.

 
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