L'ideologia che divide l'Italia tra Nord e Sud

di Massimo ADINOLFI
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Giovedì 17 Gennaio 2019, 11:47
Una contro-storia del federalismo in Italia non è stata ancora scritta, per la buona ragione che neanche sulla sua storia c’è molta chiarezza. Il centrosinistra ha riformato il titolo V della Costituzione, 18 anni fa, dopodiché sono naufragati i successivi tentativi di Berlusconi e Renzi di mettere mano alla materia. Nel frattempo la Lega cambiava pelle, e dopo Bossi, dopo Maroni, diventava con Salvini virulentemente nazionalista e sovranista. Dalla bocca del segretario della Lega quasi non si ascolta più la parola federalismo: figuriamoci la primitiva secessione. Il che però non vuol dire che l'assetto disegnato con la riforma costituzionale ormai quasi due decenni fa non sia vigente. Ed è su quella base, così poco presente negli ultimi anni all'opinione pubblica nazionale, che ora Veneto e Lombardia chiedono un'autonomia rafforzata. Cioè, in parole molto povere, di fare coi soldi loro quel che vogliono loro.

È una traduzione forse sgradevole, ma niente affatto lontana dal vero. Tutta la discussione sulle competenze regionali (e le relative risorse) da attribuire o non attribuire, poggia infatti su due Grandi Convinzioni (Le maiuscole sono obbligatorie, vista la perentorietà con cui vengono proposte).
La Convinzione Numero Uno, quella che denuncia i vizi, dice che trasferendo risorse e competenze si migliorano i servizi. Si rendono più efficienti le pubbliche amministrazioni, si riducono gli sprechi. La Convinzione Numero Due, quella che premia la virtù, dice invece che è giusto il principio secondo cui i soldi che vengono da un territorio debbono rimanere in quel territorio.

Se questo è il piano del discorso, meglio non parlare affatto di questione meridionale. Perché la Convinzione Numero Due nega alla radice la stessa possibilità che lo Stato nazionale anche articolato su base federale si ponga l'obiettivo di ridurre il divario fra le diverse aree del Paese: quali vincoli di solidarietà o di comunità possono mai esserci, infatti, se l'ordinamento della Repubblica dovesse fondarsi sul principio che ogni territorio bada a sé?
D'altra parte, la Convinzione Numero Uno agisce a rincalzo. Le due Convinzioni, anzi, si sostengono a vicenda: se ai soldi miei ci penso io, e nessuno mi regala un centesimo, allora certo sarò molto più accorto nella spesa. E viceversa: più la mia amministrazione è efficiente, meno ho voglia di finanziare le inefficienze altrui.
Dietro siffatte, anonime convinzioni stanno in realtà i due nomi propri del Sud e del Nord. La Convinzione Numero Uno parla infatti al Sud: è il Sud - si sostiene - che spreca denaro pubblico, che vive di assistenzialismo, che alimenta con le risorse dello Stato una politica clientelare. La Convinzione Numero Due parla invece del Nord: è il Nord che non vuole più saperne di trasferimenti alle regioni meridionali, che vuole tenersi il residuo fiscale, che si considera stufo di pagare per le inadeguatezze altrui.

Ora sono arrivati i Cinque Stelle a dar manforte a questo discorso. Con il no alle grandi infrastrutture, con il no alla Tav e alla Tap, con l'antieuropeismo, con un ecologismo preconcetto che si alimenta di pregiudizi anti-scientifici e anti-industrialisti, con la battaglia per il reddito di cittadinanza e un'ideologia pauperista hanno conquistato un consenso largamente maggioritario nel Mezzogiorno, dando così plastica evidenza alle due Grandi Convinzioni: c'è una parte del Paese che vuol continuare a vivere di sussidi, di spesa improduttiva, e che per questo si oppone alla richiesta delle regioni settentrionali di un'autonomia rafforzata.

Smontare questo discorso non è facile, ma è necessario. Non è facile, perché le due Grandi Convinzioni sono profondamente radicate nel senso comune, e costituiscono parte sostanziale dell'indirizzo preso dalla politica nazionale in tempi di seconda Repubblica. Sono la maniera in cui, in Italia, il federalismo si è fatto pratica amministrativa e di governo. Sono la storia per cui occorre scrivere una contro-storia. Non importa quanto siano errate, non importa quanto sia fedele l'immagine che il successo elettorale del M5S proietta sull'intera società meridionale, né importa se e quanto sia vero che il Sud spreca più del Nord. Non importa se sia vero che il cattivo uso del denaro pubblico è il motivo dell'arretratezza meridionale, né importa sapere se davvero una comunità nazionale possa lasciar cadere ogni proposito perequativo. Le due Grandi Convinzioni agiscono comunque, e continuano a veicolare l'idea che tutti i vizi siano al Sud (che perciò non vuole il federalismo) e tutte le virtù siano al Nord (che perciò lo vuole).

Non è facile, dunque, però è necessario, perché, le due Grandi Convinzioni imperanti, l'attuazione del nuovo titolo V della Costituzione ha lasciato via via cadere gli elementi solidaristici e universalistici che pure erano iscritti nel disegno originario, per quanto pasticciato esso fosse. Se invece si continua a pensare di poter usare il federalismo come la carota per soddisfare gli egoismi del Nord e il bastone per raddrizzare la schiena del Mezzogiorno, senza preoccuparsi di correggere le diseguaglianze o di assicurare parità di diritti sociali fondamentali su tutto il territorio nazionale, allora c'è davvero il rischio che il Paese troppo lungo, infine, si spacchi.
 
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