Le lezioni e le sfide di Paolo VI

Le lezioni e le sfide di Paolo VI
di Vincenzo TONDI DELLA MURA
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Domenica 14 Ottobre 2018, 20:27 - Ultimo aggiornamento: 20:42
C’è un debito di riconoscenza che il Paese porta verso Paolo VI, che raramente è messo a tema e che, tuttavia, è essenziale porre a mente. Ciò non tanto per completare l’iconografia del grande pontefice di cui oggi si celebra la santità; quanto, piuttosto, per andare alla radice di quella coesione e costruttività sociale, che sia pure in modo non lineare e definitivo ha caratterizzato tanta parte della storia repubblicana. E il cui smarrimento è infine degenerato in quell'«età del rancore» perfettamente radiografata dal Censis, pregna di smarrimento, inquietudine, paura e rabbia.

Il metodo della tolleranza e del reciproco riconoscimento che ha segnato gli anni del progresso sociale ed economico del Paese, non è nato da sé. Certamente è riconducibile alla grande innovazione antropologica avviata dalla Costituzione del '48, fatta del rispetto della personalità del singolo e della valorizzazione delle diversità insite in ogni corpo sociale. Al contempo, tuttavia, detto metodo ha una propria specificità; deriva da precise scelte culturali e antropologiche spesso avviate lontano dal clamore, nel segreto delle coscienze e dell'eroismo delle azioni quotidiane. Come scriveva Emmanuel Mounier: È dalla terra, dalla solidità, che deriva necessariamente un parto pieno di gioia e il sentimento paziente dell'opera che cresce, delle tappe che si susseguono, aspettate quasi con calma, con sicurezza Occorre soffrire perché la verità non si cristallizzi in dottrina, ma nasca dalla carne. Sicché è proprio quelle pagine nascoste della Storia che occorre riscoprire, per comprendere dove la scuola della tolleranza e dell'apertura verso l'altro ha posto i primi passi.

Correvano i primi anni dell'era fascista, fatta del culto per lo Stato e dell'avversione sanguinosa verso le opposte visioni. Proprio in quegli anni venti e trenta un giovane sacerdote si premurò di far conoscere agli universitari dell'epoca un pensiero diverso e alternativo a quello dominante. Per sfuggire ai rigidi controlli della censura, egli addirittura prese a tradurre e trascrivere di proprio pugno alcune opere straniere, veicolandone il contenuto su quaderni clandestini. Grazie a Giovanni Battista Montini, all'epoca assistente centrale della Fuci (dal '25 al '33), un'intera generazione di giovani universitari poté formarsi, studiando le opere altrimenti sconosciute dei cattolici progressisti francesi (Maritain, Mounier, Gilson, Daniélou, Hauriou, Burdeau, ecc.); divenuto Sostituto della Segreteria di stato vaticana, riuscì poi a favorire la circolazione clandestina del quaderno recante la prima traduzione manoscritta di Umanesimo integrale, di Jacques Maritain, ad appena due anni dall'edizione francese.

Si trattava di un pensiero realmente nuovo e dirompente, non solo rispetto all'impianto monolitico dello Stato etico fascista, ma proprio riguardo al sentire della cattolicità. Esso riapriva il dialogo fra Chiesa e modernità, con una reciproca apertura verso il metodo democratico e verso una concezione della libertà e della ragione non più pregiudizialmente ostile nei riguardi della religione. La Chiesa poteva smettere di sfidare il mondo, come se fosse stata in una cittadella fortificata. La politica veniva intesa come desumibile dalla ragione e giammai dalla fede, sicché la Tradizione della fede cattolica poteva condividere con simpatia l'istanza moderna del soggetto, cioè della libertà.

Le implicazioni di una tale apertura erano inaudite. In un suo scritto Maritain precisava: Non soltanto, dunque, il che va da sé, uomini aventi convinzioni religiose diverse potranno collaborare a stabilire una tecnica, a spegnere un incendio, a soccorrere un affamato, o un malato, o far ostacolo a un'aggressione. Ma anche, ed è quello che qui interessa, è possibile che essi cooperino, almeno e innanzitutto nei confronti dei beni primi dell'esistenza di quaggiù, in un'azione costruttiva concernente la retta vita della città temporale e della civiltà terrestre e i valori morali che ne sono investiti. Ed aggiungeva in un'altra opera: Avviene così che uomini in possesso di convinzioni metafisiche o religiose del tutto diverse e perfino opposte materialisti, idealisti, agnostici, cristiani ed ebrei, mussulmani e buddisti possano trovare una convergenza, non in virtù di una qualche identità dottrinale, ma in virtù di una somiglianza analogica nei principi pratici, verso le stesse conclusioni pratiche, e possono avere in comune la stessa «filosofia» democratica pratica, purché venerino allo stesso modo, magari per ragioni completamente diverse, la verità e l'intelligenza, la dignità umana, la libertà, l'amore fraterno e il valore assoluto del bene morale.

Fu quella scuola umana, prima ancora che culturale, che preparò la via alla svolta che quei giovani studenti universitari, una volta divenuti componenti dell'Assemblea costituente (Andreotti, La Pira, Lazzati, Moro, Dossetti, Fanfani) sarebbero riusciti a realizzare. Il compromesso costituzionale tanto celebrato fra le diverse idealità e forze politiche del Paese trasse origine e legittimazione proprio da quell'impostazione: una neutralità ideologica che - come in seguito commentò Leopoldo Elia si realizzò sul piano pratico e non già teorico, lasciando per così dire in anticamera le premesse di valore, il discorso sui presupposti di fondo. Come ebbe a dire in un'altra occasione lo stesso Maritain, a proposito del pari compromesso avvenuto nella stesura della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo: siamo d'accordo sui diritti, ma a condizione che nessuno ci chieda perché.

Non è il senso vittorioso della sfida verso il diverso a consentire la coesione sociale e, dunque, il reciproco impegno per il bene comune. In un suo appunto Montini segnava questa frase di Agostino: Imita gli uomini buoni, tollera i cattivi, ama tutti. Se si sfida il mondo, non si possono amare tutti.

È una fortuna, per il nostro Paese, poter recuperare la consapevolezza che la strada in cui è potuto progredire è stata una strada di reciproca comprensione e - ora si scopre - anche di santità. Che Paolo VI possa sostenere le occasioni di una prossima crescita. Che possa favorire la pace sociale di un popolo vieppiù smarrito.
 
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