Scenari imprevedibili con questa legge elettorale

di Mauro CALISE
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Lunedì 30 Gennaio 2017, 16:23
È incominciata, con una mezza battuta, la ritirata da Palazzo Chigi. Visto che il clima è quello di un ritorno - armi e bagagli e pive nel sacco - alla Prima repubblica, non sorprende che Renzi abbia avanzato l’ipotesi che potrebbe restarsene al Nazareno. Lasciando a Gentiloni o a Delrio il ruolo di Primo ministro. Di nuovo un premier anatra zoppa, come ai bei tempi della Dc, quando quel po’ di governo che c’era si comandava da Piazza del Gesù. Ma è davvero un’ipotesi plausibile?
Conciliabile con il temperamento presenzialista del segretario Pd e - soprattutto – con le esigenze della democrazia decisionista e populista che, con Trump, sembra destinata a invadere tutto l’Occidente? È difficile. Anzi, molto improbabile. Però, la sconfitta al referendum ha segnato una battuta d’arresto per il progetto politico di Renzi. Non si sa ancora di che portata, se strategica o solamente tattica. E Renzi vuole tenersi le mani quanto più libere possibile.
Intanto, con la legge elettorale che ci ritroviamo, l’Italia appare ingovernabile. La Consulta ha fatto il proprio dovere, limitandosi a intervenire solo dove ha ravvisato il profilo di incostituzionalità. E il risultato è il caos. Privati della clausola maggioritaria molto benevola del Porcellum e di quella troppo rischiosa dell’Italicum, siamo tornati al tripolarismo. Con un proporzionale puro – sbarramento solo al 3% - che spinge anche un politico navigatissimo come D’Alema a tentare l’avventura di una scissioncina. Una tentazione che presto contagerà anche il centrodestra, col povero Berlusconi che dovrebbe accontentare una folla esorbitante di aspiranti parlamentari. In un quadro così frammentato, ha senso ancora candidarsi a fare il premier duro e puro? E ammesso che si riesca a formare uno straccio di esecutivo, quali garanzie avrebbe Renzi che lo lascino lavorare tranquillo? Basta immaginare il Cavaliere che firma un patto di Grande Coalizione, magari nel salotto di Vespa, e si ha la percezione inesorabile del cul-de-sac in cui siamo finiti. A meno che non avvenga il miracolo di un Pd oltre il quaranta per cento, il governo resterà ballerino. Al posto di un governo di legislatura, il rischio di un governo fregatura.
Ma non c’è solo la legge elettorale ingestibile a preoccupare Renzi. Il vento gelido che arriva da oltreAtlantico è destinato, purtroppo, a rafforzarsi. E darà una spinta importante alle forze dell’antipolitica, sia in Germania che in Francia quando andranno alle urne in primavera. Il trend verso uno sfaldamento dell’Europa diventa sempre più incontenibile. E l’unica arma per fermarlo – una inversione radicale della politica di austerità – ha incontrato l’opposizione teutonica – è proprio il caso di dirlo – dei tedeschi. Probabilmente, Renzi comincia a mettere in conto l’ipotesi che si debba andare alla rottura. O, almeno, a un ridimensionamento delle prerogative di Bruxelles.
Una sorta di mini-Brexit, un’Europa a due o a tre velocità. Ma una prospettiva del genere richiederebbe molta più libertà di manovra di quanta ne avrebbe un Premier, tanto più di un membro importante nello scacchiere europeo come l’Italia. Bisognerebbe imbastire alleanze, con altri paesi e/o partiti. Procedere con accelerazioni brusche, e qualche passo indietro o di lato. Affacciare nuovi scenari in rotta di collisione coi vigenti. Tutte operazioni impossibili se Renzi fosse prigioniero dell’ufficialità della premiership.
Certo, può sembrare il de profundis per le speranze di rinnovamento dell’Italia il fatto che l’unico leader – con la breve parentesi di Craxi – che abbia provato a cambiare il paese dalla poltrona di Palazzo Chigi debba acconciarsi a rincantucciarsi in quella di segretario di partito. Per giunta, nell’era in cui i partiti appaiono sempre più come un vascello alla deriva nella tempesta della democrazia. Ma la Storia, di questi tempi, ci sta abituando a non sapere cosa c’è dopo il prossimo tornante. Otto anni fa, chi si aspettava Obama? E il suo posto è stato preso da Trump. Ci andrà bene se al prossimo summit italo-francese non ci saranno Le Pen e Grillo. Magari, tra quattro o cinque anni, l’orizzonte sarà un po’ meno fosco. Magari. Intanto, restare in viaggio è già la meta.
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